Baze Djunkiii on Nitestylez
Set for release via Berlin’s Aut Records label on November 8th, 2k19 is “Combat Joy”, a live recorded concert album performed by the trio that is Albert’s Mood at the Jazzincantina in Rome. With this album we see Pasqualle Innarella, Danilo Gallo and Ermanno Baron focusing on what they see as the very essence of Jazz musically, a vision inspired by no-one less than the genre great that is Albert Ayler. Opening on a classy, smokey and vintage laid back Jazz tip the trio is soon carried away by what they describe as a pure organic flow, keeping up with a classy vibe but giving way to more and more layers of improvisation only to be falling back into a stripped down, intimate approach perfectly suitable for contemplating over a classic cocktail or two whilst dancing to thundering re-interpretations of oldtime rhythms becomes a thing only minutes later before these are, once again, stripped down, deconstructed and turned into the next, exciting variation of what Jazz can be – both from a modernistic, contemporary standpoint as well as from a Jazz standard perspective. What an arc this album provides.
Mario Biserni on Sands Zine
«In questo cd troverete la registrazione di un live avvenuto in un luogo magico, il Jazz in Cantina di Roma, in una fredda sera di novembre.
«L`ispirazione? Albert Ayler.
«Ma non immaginatevi una cover della sua musica: in Ayler`s Mood troverete il Jazz in quanto musica in divenire, e non la sua limitante rappresentazione.
«Un`ora circa di improvvisazione pura, estemporanea: un viaggio nuovo, che Innarella, Gallo e Baron compiono sapendo da dove partire e come procedere attraverso strade ancora inesplorate, verso una meta che sarà nota, a loro per primi, solo all`arrivo.
«Quando le premesse espressive sono queste nasce un flusso emotivo travolgente tra musicisti, che contagia chi ascolta in maniera profondamente emozionante: il che significa comunicare con la musica.
«Ascolterete energia, stupore, malinconia, allegria irresistibile, ironia, qualche attimo di angoscia o un senso inenarrabile di cauta libera e improvvisa risalita.
«Sarà il basso semiacustico di Danilo Gallo, con la sua gamma di suoni infiniti, dagli armonici cavernosi a quelli cristallini o silenti? Sarà il sax di Pasquale Innarella, dall`espressività a volte struggente, a volte sanguigna e potente? Sarà la batteria di Ermanno Baron, dal groove decisivo e cangiante, con i suoi battiti che evocano acqua, aria, fuoco? Saranno i contrasti tra volumi altissimi e improvvisi silenzi, o quei temi melodici che si disgregano gradualmente diventando atonali, fino a tramutarsi persino in rumori? Trovate da soli la risposta.
«E ascoltate più volte, perchè quando la musica è così, si scopre continuamente qualcosa di nuovo, per un numero di ascolti vicino all`infinito.»
Tali sono le note di copertina firmate da Daniela Floris.
Se non si ha niente da aggiungere meglio tacere.
Gerlando Gatto on On-line Jazz
Due cd dedicati a due giganti del sax: il Trio Ayler’s Mood, costituito da Pasquale Innarella al sax, Danilo Gallo al basso elettrico e Ermanno Baron alla batteria sono i protagonisti di “Combat Joy”, dedicato ad Albert Ayler, e Pasquale Innarella e “Go Dex Quartet” dedicato a Dexter Gordon. Una sfida molto, molto difficile, quella con i mondi sonori di due grandi sassofonisti molto diversi tra di loro e quindi impossibili da ricondurre ad un unicum. Di qui l’intelligenza poetica – mi si passi il termine – di questi due gruppi e di Innarella che, come sassofonista, ben lungi dal voler imitare l’inimitabile, ha voluto con i suoi compagni di viaggio, piuttosto, rileggere le esperienze dei due grandi artisti. In particolare nel primo album, “Ayler’s Mood”, registrato live durante un concerto a “Jazz in Cantina”, zona Quarto Miglio, Roma, il 22 dicembre del 2018, Innarella (nell’occasione anche al sax soprano) coadiuvato da due eccellenti partner quali Danilo Gallo al basso e Ermanno Baron alla batteria, si rivolge all’universo di Albert Ayler (1936-1970) considerato a ben ragione uno dei massimi esponenti del free anni sessanta; lo stile del musicista di Cleveland era caratterizzato da un vibrato molto aggressivo e da un linguaggio che destrutturava gli elementi fondativi della musica, vale a dire melodia, armonia e timbro. Come affrontare quindi, tale musica senza ricorrere a sterile imitazioni? Lasciandosi andare ad una improvvisazione pura, estemporanea (come sottolineato nella presentazione dell’album) è stata la risposta di Innarella e compagni. Un flusso sonoro di circa un’ora che coinvolge l’ascoltatore in una sorta di viaggio senza meta, assolutamente coinvolgente. I tre suonano liberamente ma con estrema lucidità, in un quadro in cui nessuno ha la prevalenza sull’altro e in cui la musica di Ayler rivive in tutta la sua drammatica attualità con lacerti di free che si alternano con accenni di calypso o di R&B…senza trascurare alcune citazioni ben riconoscibili.
Nel secondo CD, “Go Dex”, Innarella è in quartetto con Paolo Cintio al piano, Leonardo De Rose al contrabbasso e Giampiero Silvestri alla batteria. In questo caso il discorso è completamente diverso e non potrebbe essere altrimenti dato che Dexter Gordon (1923-1990) è stato uno degli alfieri del bebop, un artista straordinario di recente ricordato in un bel volume della EDT di cui ci si occuperà quanto prima. Nell’album Innarella esegue sette composizioni di Dexter Gordon con l’aggiunta di un celeberrimo standard, “Misty” di Errol Garner. Ma è già nel termine “Go Dex” che si vuole omaggiare il sassofonista di Los Angeles dal momento che “Go” è il titolo che lo stesso Dexter volle dare ad un suo album registrato nell’agosto del 1962 con Sonny Clark piano, Butch Warren basso e Billy Higgins batteria. Ma Pasquale non si è fermato qui: Gordon ha scritto pochi brani e Innarella ha voluto, quindi, riproporne almeno una parte tenendosi però ben lontano da una pedissequa imitazione. Quindi non un linguaggio boppistico ma un jazz moderno, attuale, che non disdegna incursioni nel mondo del free. Ecco le prime battute dell’album eseguite secondo stilemi molto vicini al free accanto ad una convincente e canonica interpretazione di “Misty” con sonorità più legate alla tradizione; ecco “Soy Califa” dall’andamento funkeggiante, illuminato da uno splendido assolo di Paolo Cintio accanto al conclusivo “Sticky Wichet” che ci riconduce ad atmosfere molto accese… il tutto senza perdere di vista, in alcun momento, quelli che erano i principi ispiratori di Gordon e che ritroviamo intatti in questo pregevole album.
Jan Granlie on Salt Peanuts
Det er alltid å glede hver gang det dukker opp en ny plate, hvor den italienske bassisten Danilo Gallo medvirker. Og siden han er en ytterst produktiv musiker, hender det ikke så rent sjelden at han dukker opp i en eller annen, italiensk sammenheng.
Han driver selv sitt eget plateselskap, El Gallo Rojo Records, men han lar aldri det være til noe hinder for å samarbeide med andre musikere enn «sine egne», og spille inn for andre selskaper. Han har spilt med de fleste av de litt friere italienerne, pluss en rekke internasjonale stjerner, og spiller ved siden av den alminnelige el.bassen også akustisk bass, akustisk bassgitar, bassbalalaika og 12 strengs bass.
På denne hyllesten til saksofonisten Albert Ayler, samarbeider han med tenor- og sopransaksofonisten Pasquale Innarella og trommeslageren Ermanno Baron, og vi får seks låter («Part I» til «Part VI»), som alle inneholder frekvenser og deler vi tidligere har hørt med Ayler, men også egne improvisasjoner som en hyllest til Ayler.
Pasquale Innarella kjenner vi best fra hans band Migrantes eller hans gjesteopptreden med bandet Porta Palace Collective og Rob Mazurek, men etter å ha hørt denne platen, vil vi nok lete grundig etter flere plater med den gode italieneren. Mens trommeslageren Ermanno Baron er den mest ukjente av de tre, selv om han har spilt med blant andre Perry Robinson og Marco Colonna.
Og hele veien er dette musikk som er en fryd for øret, særlig i de gjenkjennbare sekvensene. Og det starter pent og rolig med Innarellas tenorsaksofon med små innspill fra Gallos syngende el.bass. Og derfra og inn vokser musikken fra sekund til sekund, og etter hvert er det egentlig bare å gi seg over, over den kreativiteten de tre leverer.
Det er Innarella som er hovedpersonen i låtene, siden han spiller saksofon, men like viktig synes jeg Gallos bass-spill er i sammenhengen. Hans særegne syngende el.bass kan av og til sammenlignes med Steve Swallow, men andre ganger dukker Arild Andersens syngende akustiske bass opp i bakhodet. Og Baron er den som ligger bak og holder det hele på plass, på tross av sitt løse spill, nesten som Jon Christensen i sine velmaktsdager.
Selv om alle låtene har mye av Aylers musikk i seg, så er alle de seks «strekkene» kollektivt improvisert av de tre. Men jeg har en mistanke om at gangen i de enkelte «strekkene» har vært nøye diskutert før spilte inn stoffet. Men det er fritt og freidig hele veien, og det er ingen tvil om at Aylers ånd svever over det hele.
En fin og drivende plate fra tre av de mest spennende musikerne i Italia, og en plate som kommer til å surre og gå på anlegget langt utover høsten og vinteren.
Translated with DeepL
It’s always a pleasure to hear a new album featuring Italian bassist Danilo Gallo. And since he’s an extremely prolific musician, it’s not uncommon for him to appear in one Italian context or another.
He runs his own record label, El Gallo Rojo Records, but he never lets that stand in the way of collaborating with musicians other than “his own” and recording for other labels. He has played with most of the freer Italians, plus a number of international stars, and in addition to the usual electric bass also plays acoustic bass, acoustic bass guitar, bass balalaika and 12-string bass.
On this tribute to saxophonist Albert Ayler, he collaborates with tenor and soprano saxophonist Pasquale Innarella and drummer Ermanno Baron, and we get six songs (“Part I” to “Part VI”), all of which contain frequencies and parts we have previously heard with Ayler, but also his own improvisations as a tribute to Ayler.
We know Pasquale Innarella best from his band Migrantes or his guest appearances with the band Porta Palace Collective and Rob Mazurek, but after listening to this record, we’ll probably be looking hard for more records with the good Italian. While drummer Ermanno Baron is the most unknown of the three, although he has played with Perry Robinson and Marco Colonna, among others. And throughout, this is music that is a delight to the ear, especially in the recognizable sequences. And it starts nicely and calmly with Innarella’s tenor saxophone with small contributions from Gallo’s singing electric bass. And from there on in, the music grows from second to second, and eventually you just have to give in to the creativity of the three of them.
Innarella is the main character in the songs, since he plays the saxophone, but I think Gallo’s bass playing is just as important in the context. His distinctive singing electric bass can sometimes be compared to Steve Swallow, but other times Arild Andersen’s singing acoustic bass pops up in the background. And Baron is the one behind it all, holding it all together despite his loose playing, almost like Jon Christensen in his glory days.
Although all the songs have a lot of Ayler’s music in them, all six tracks are collectively improvised by the three of them. But I have a suspicion that the course of the individual “stretches” has been carefully discussed before recording the material. But it’s free and bold throughout, and there’s no doubt that Ayler’s spirit hovers over it all.
A fine and driving record from three of the most exciting musicians in Italy, and a record that will be buzzing and playing on your stereo well into the fall and winter.
Admin on Jazzit
“Ayler’s Mood” è un album live registrato da Pasquale Innarella, Danilo Gallo ed Ermanno Baron il 22 novembre del 2018 al “Jazz in Cantina” di Roma e pubblicato dalla AUT. Si tratta di un omaggio al grande sassofonista americano realizzato non rileggendo le sue pagine più famose, ma filtrando la sua esperienza con la musicalità dei tre protagonisti.
Ecco quindi che il disco è diviso in sei parti realizzate improvvisando estemporaneamente, e come scrive Daniela Floris nelle note di copertina “ascolterete energia, stupore, malinconia, allegria, ironia, angoscia…”. Un live ben riuscito, un documento importante che racconta una nuova esperienza di tre protagonisti del jazz italiano.
Nazim Comunale on Il giornale della musica
“Trane was the father, Pharoah was the son, i am the holy ghost”: così Albert Ayler, interprete di una musica vissuta fino alle estreme conseguenze come “healing force of the universe”.
Il trio di Pasquale Innarella (sax tenore e soprano), Danilo Gallo (contrabbasso) ed Ermanno Baron (batteria) tributa il monumentale musicista di Cleveland sin dal nome, Ayler’s mood. Non di un omaggio didascalico si tratta ma di un ricordo vivido e intenso di uno spirito santo e maledetto, destinato a una musica feroce e lirica, nuda e selvatica, che lotta a mani nude contro l’entropia, in uno scontro titanico con la Storia, la Memoria. E ingaggia questa tenzone con una gioia vitalistica che non ha confini, che abbraccia il fare giocoso delle marching band, vertigini free, furori traboccanti negritudine fiera, ritmo, sudore, anarchia, melodia.
Questa attitudine pugnace, questa cocciuta Combat Joy, risuona in ogni singola nota, in ogni singolo colpo di batteria di questo ottimo disco, un live infuocato registrato a Roma nel novembre del 2018. Se Ayler era in qualche modo stato designato da irraggiungibili divinità per cercare di dire l’indicibile attraverso il suono, per raccontare quel mistero tragico e buffo, inesorabilmente individuale e collettivo, che è vivere (ancor più poi come jazzman afroamericano negli anni Cinquanta e Sessanta, il periodo di attività di Ayler), Innarella, Gallo e Baron riescono a restituire perfettamente proprio quel senso di urgenza, di febbre, di irrefrenabile creatività: cellule melodiche quasi elementari che fungono da architrave per improvvisazioni torrenziali, accenni addirittura a “La Marsigliese”, un flusso ininterrotto e ispiratissimo che cattura l’attenzione dell’ascoltatore e spinge, una volta giunti alla fine, a premere di nuovo il tasto play.
Innarella ai sassofoni canta traboccando un soul sfrenato a ogni passo, Gallo e Baron portano un drive inesorabile, fluido e in perenne movimento. Un disco che trasmette un sentimento di urgenza sbracata, fiera e popolare nel senso profondo del termine e che fa venire voglia di alzare il volume e ballare, come se questo potesse capovolgere i destini del mondo.
Vittorio on Music Zoom
Il trio che si è dato il nome Ayler’s Moods è composto da Pasquale Innarella al sax tenore, Danilo Gallo al contrabasso semiacustico ed Ermanno Baron alla batteria. La musica proviene da un concerto live tenuto a Roma alla Jazz In Cantina. Si tratta di una libera improvvisazione, ispirata alla lontana dalla musica di Ayler, ma di cui non si usa alcuna composizione. C’è però quell’atmosfera particolare, l’ispirazione, il contatto con il pubblico, il free, i rumori del basso di Gallo che rendono la musica fuori dal comune e con ciò si innesta un collegamento con le idee del grande sassofonista tenore che ha ispirato tanti altri musicisti dopo la rivoluzione del free. L’improvvisazione dei tre procede serrata ed ispirata ed ogni tanto emerge una melodia, un brandello di note che sembra venire fuori dagli anni ’60, dalle composizioni delle band di Ayler. Sono più di cinquanta minuti di musica decisamente fuori dal comune o dai canoni di quello che è il jazz in Italia attualmente, e che fortunatamente ha trovato un suo spazio, dal vivo e su disco. Sulla lunga Part V Innarella è al sax soprano, suonato con una voce che ricorda quella di Sidney Bechet, lontanto dai virtuosismi di un Coltrane o dalla ricerca di uno Steve Lacy. Un gran disco, che fa un passo nel passato ma guarda al futuro, originale e che ci mostra come sia possibile fare jazz con sincerità, al di là di quelle che sono le mode del momento.
Daniela Floris on A proposito di Jazz
Come molti lettori sanno, a volte mi allontano dal circuito “ufficiale” del Jazz, e vado in posti un po’ defilati, dove si può ascoltare musica live in un contesto inusuale.
Così vengo a sapere da un evento fb che Pasquale Innarella, sassofonista da me molto apprezzato da sempre, annuncia un suo concerto a Jazz in Cantina, zona Quarto Miglio, Roma. Musica improvvisata, ispirata ad Albert Ayler. Al basso Danilo Gallo, alla batteria Ermanno Baron. E’ curioso, non è la prima volta che incontro Danilo Gallo e Ermanno Baron in posti come questi: li avevo ascoltati infatti in un laboratorio di riparazione di pianoforti, zona Pigneto, insieme ad Enrico Zanisi, con il progetto EDE. Una nota a margine su cui (positivamente) riflettere.
Entro in uno scantinato ampio, accogliente, caldo, con le pareti in mattoncini e le foto dei Jazzisti alle pareti, qualche locandina, un piccolo banco bar, un palco con le sedie allineate davanti e improvvisamente mi sembra di essere a New York, non a Roma .
Il proprietario di questa piccola cantina, Roberto Scarabotti, è un appassionato di quelli che traducono la loro passione in tangibilità. Un locale dove ascoltare musica, ingresso libero, offerta libera (che al termine delle performance sei felicissimo di lasciare, per gratitudine ). Al termine del concerto la moglie di Roberto offre un piatto caldo per gli ospiti della serata . Un posto assurdo, a sé stante, uno di quei posti che ti riportano alla musica dal vivo con i musicisti ad un palmo, e che hanno concorso, a suo tempo, a farti innamorare del Jazz.
E il Jazz, inteso come proposizione di musica nuova, estemporanea, improvvisata, è ciò che ho ascoltato a Jazz in cantina.
Albert Ayler è lo spunto. L’ispirazione dicevamo, e lo spiega Innarella parlando di un ascolto alla radio fulminante, da ragazzino, evento quasi fortuito che ha visto nascere l’inizio del suo Jazz come musicista: ma questo geniale sassofonista non viene riproposto in forma di “standard” o “cover”. In realtà Ayler emerge a tratti durante un flusso di musica improvvisata in cui di volta in volta a guidare è il sax, o il basso, o la batteria, o in cui i tre si compattano in un unico suono, cangiante e intenso.
Cosa è accaduto durante questo concerto? Centinaia di cose, di cui alcune provo a dire, basandomi sulle pagine di appunti che ho preso freneticamente, senza fermarmi mai.
Si parte proprio da una intro di Innarella. Il basso di Gallo entra come un pendolo sonoro, la batteria è soffice, Baron sceglie i mallets per percuotere pelli e metallo.
L’armonia che ti immagineresti sottesa al sax viene scardinata implacabilmente dalle note del basso, che a tratti ti illude di rientrare in canoni usuali toccando dominante e tonica: ma sempre per molto poco. E soprattutto è il timbro grave, pastoso, vibrante dello stesso basso a destabilizzare, a creare l’elemento espressivo che determina la direzione del flusso. L’assottigliamento armonico lascia spazio ad un inspessimento timbrico che regala un senso di pienezza: non si rimpiangono, dunque, gli accordi mancanti.
Innarella, Gallo e Baron alternano momenti corali particolarmente intensi ad episodi in cui è uno solo a reggere quel filo di musica che non smette mai: in questi casi il basso può inaspettatamente tramutarsi in chitarra, e dialogare con la batteria, la cui cassa fa le veci di una ulteriore corda nel registro grave. Oppure può capitare che il sax emetta note lunghe, ruvide su un ostinato di basso che fa da sfondo, magari insieme alla batteria che lo doppia (o è il basso che doppia la batteria? )
Si passa da momenti minimali e tenui, ad ondate sonore poderose, e ancora a soste quasi silenziose, quasi come a riprendere fiato dopo una corsa disperata, per poi ritornare al clima evocativo di una melodia malinconica, in cui le note del basso, nel loro avvicendarsi, rimangono tenute a lungo, sovrapponendosi in una infinita e suggestiva serie di armonici. Innarella usa il suo sax come una vera e propria voce, parlando, cantando, urlando, battendo il tempo. Baron usa conchiglie, spazzole, mallets, bacchette e crea effetti di ogni tipo. Gallo usa ogni centimetro del suo basso, compreso il legno, e ottiene qualsiasi tipo di suono occorra a creare un’atmosfera inaspettata.
E se un attimo prima l’aria era colma di armonici, tutto era soffuso e senza spazio e tempo, improvvisamente i singhiozzi del basso, l’incalzare delle bacchette sui ride e le frasi spezzate del sax riportano tutto ad un qui e ora che non permette straniamento, e che è il prologo ad una nuova esplosione di volumi e di suono, che si concretizzano in una Marsigliese polemica, ironica, giunta chissà perché e chissà da dove nel sax di Pasquale Innarella. Parte una rumba giunta chissà perché e chissà da dove negli accordi del basso di Danilo Gallo ( e nella batteria di Ermanno Baron ) , e all’inizio tutto sembra tonalmente regolare, fino a quando quegli accordi non diventano atonali e destrutturanti.
Anche nel secondo set Danilo Gallo comincia con giri armonici noti lasciando gradatamente l’usuale dietro di sé, espandendo, comprimendo le strutture. Anche nel secondo set Pasquale Innarella gioca con citazioni, reminiscenze, contrasti tra registro grave e acuto. Anche nel secondo set Ermanno Baron è cangiante, propositivo, adattabile e assertivo, tutto e il contrario di tutto.
Questo significa che tutto il concerto è un susseguirsi di svolte inaspettate. Ma niente è casuale: improvvisare non significa certo suonare quello che capita.
L’IMPATTO SU CHI VI SCRIVE
I concerti basati quasi interamente sull’improvvisazione libera possono avere su di me effetti molto differenti.
Spesso ho cercato di capire perché a volte io ne rimanga entusiasta mentre altre (senza mezzi termini) mi annoi a morte. Dipende certamente anche da me, dal mio background. Può dipendere dai musicisti, dal loro modo di porsi e di comunicare con il pubblico, o con me in particolare.
Però, andando un po’ a scavare nelle mie sensazioni, posso dire che amo l’improvvisazione quando essa non è dettata dal caso (suoniamo come ci pare a prescindere da tutto) o mera dimostrazione di forza, ma è invece frutto di un istinto molto intenso, guidato da una musicalità altrettanto forte, armonizzati entrambi dalla volontà di comunicare qualcosa di profondo, o sentito, o pensato e reso percettibile con la musica. Il che può avvenire inconsapevolmente: però avviene. E’ un’urgenza espressiva cui il musicista risponde.
Quando mi pare di riconoscere queste caratteristiche? Quando mi accorgo che tutto ciò che accade sul palco è armonioso, equilibrato, pur negli apparenti squilibri di un urlo o di una asprissima dissonanza.
In questo omaggio ad Albert Ayler, artista che trapela nell’energia, nella sistematica ricerca di sprazzi melodici – nonostante essi vengano poco dopo costantemente destrutturati – i musicisti hanno sempre ottenuto un affascinante bilanciamento del flusso sonoro. Il placarsi quasi onirico di un suono travolgente e adrenalinico arriva al momento opportuno, come per una tregua benefica.
Un ostinato di basso appare quando il sax corre freneticamente con fraseggi funambolici, esaltandolo ma non sovrapponendosi ad esso.
Una raffica tribale di battiti della batteria è sottolineata ad arte da una nota lunga del sax e da un vibrare potente del basso.
Tutto questo non è studiato strategicamente a tavolino né buttato lì come viene, ma improvvisato da chi sa fare musica avendo come fine la musica. Non l’esibizione muscolare con l’unico fine di stupire il pubblico, o del contraddire per partito preso qualcosa di già ascoltato e ritenuto dunque aprioristicamente banale.
E’ molto probabile che gli artisti sul palco di Jazz in Cantina mi riterranno un po’ squilibrata leggendo la descrizione che ho fatto della loro musica: loro suonavano estemporaneamente, io ascoltavo con attenzione, cercando un senso a ciò che accadeva. E sono uscita da Jazz in Cantina con la convinzione, ancor più rafforzata di prima, che bisogna saper improvvisare: per farlo occorre istinto, poi serve lasciarsi andare, ascoltarsi reciprocamente, non ultimo saper suonare (e sì, bisogna essere bravi, le mani devono saper tradurre in suoni gli impulsi, le idee) … bisogna, in una parola, essere Musicisti nel senso più profondo del termine.
Spero in un disco di questo progetto. Anzi, lo caldeggio.
Qui di seguito potete ammirare gli scatti di Adriano Bellucci, che testimoniano l’atmosfera di una serata notevole, in un posto notevole, con un notevole trio sul palco.
Jim Motavalli on The New York City Jazz Records
Ayler’s Mood’s Combat Joy sticks closer to form, a trio vamping its way through a 54-minute improvisation recorded live in Rome. Pasquale Innarella has a wonderful tone on tenor, evoking the Holy Ghost’s sound quite convincingly. (He has also recorded tributes to Dexter Gordon and Thelonious Monk). He’s joined by bassist Danilo Gallo and drummer Ermanno Baron for the compelling and warmly recorded set. No titles are given to the long jam, divided into six sections and as the liner notes state “the inspiration comes directly from the spirit of Albert Ayler. But we are not talking about covers here.” The blatant incorporation of Ayler themes undermines that claim, however, despite the composition credits given solely to the trio. While Chadbourne’s group stakes the claim to being Ayler’s children, Ayler’s Moods seem to consider themselves his heirs. Unfortunately, passion and dedication don’t equate ownership
Alberto Bazzurro on L’isola che non c’era
[…]Salendo di un’unità, eccoci al trio artefice di Ayler’s Mood – Combat Joy (Aut), con Pasquale Innarella, sax tenore e soprano, Danilo Gallo, basso, ed Ermanno Baron, batteria, trio dalle coordinate espositive abbastanza classiche, in ottica di derivazione free. Il rimando ad Albert Ayler si palesa via via, specie nei brani finali, anche proprio tematicamente, in quella tipica luminosità dolorosa e dinoccolata. L’avvio è invece pacato, riflessivo, per un disco ben equilibrato […]
Enrico Bettinello on Il giornale delle musica
Eugenio Mirti on 58 Seconds Review
Bruno Pollacci on Anima Jazz