Press Bug Jargal

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Adriano Ghirardo on Mellophonium

“Bug Jargal” è il titolo del primo romanzo pubblicato da Victor Hugo ed ispirato alla lotta di liberazione di Haiti e Santo Domingo. L’anelito alla libertà da strutture oppressive deve essere la molla che ha portato il sassofonista Luciano Caruso, il tastierista Giorgio Pacorig ed il batterista Nello Da Pont a prendere quella storia come punto di riferimento. L’incisione effettuata nel 1998 viene, meritoriamente, portata all’attenzione del pubblico grazie all’etichetta Aut Records che si pone l’obiettivo di produrre musica originale e lontana dal mainstream. Il Fender Rhodes e l’utilizzo dell’elettronica rimandano, talvolta, al Davis degli anni 70 ma i tre musicisti si muovono con personalità evitando il rischio di cadere in uno stanco replay della produzione dello “sciamano elettrico”. I temi del voodoo, dell’esotismo e della ribellione sono, comunque, il filo conduttore di un disco che riprende già dai titoli (da ”Ouverture de Toussaint” dedicata al leader della rivolta ispirata dai valori della Rivoluzione Francese sino a “The black jakobins”) la storia poco conosciuta che portò all’indipendenza dei popoli caraibici. In definitiva un disco che unisce improvvisazione libera, fremiti ritmici anni 70 ed un uso dell’elettronica presente ma mai invasivo. Grazie alla Aut Records per avere recuperato un progetto che rischiava di perdersi nell’oblio. Per chi fosse interessato alla ricerca di “linguaggi inauditi” consigliamo il sito ufficiale dell’etichetta www.autrecords.com.

Claudio Morandini on Iperboli, Ellissi

Paesaggi assai diversi, nel tempo e nello spazio, in “Bug Jargal” una registrazione del 1998, a modo suo storica, del trio composto da Luciano Caruso, Giorgio Pacorig, Nello Da Pont: qui i riferimenti dei musicisti sono altrove, nella musica liquida degli anni Settanta tra il Miles Davis elettrico degli album live e il free più disposto a contaminazioni funk. Sull’implacabile tessuto connettivo percussivo, sulla copertura accordale fluida, caratterizzata da una timbrica vintage, gli strumenti (il sax soprano di Caruso, il Fender Rhodes di Pacorig) improvvisano come sotto ipnosi, senza negarsi certi tic stilistici di quegli anni eccitanti e ingenerando qualche sospetto di hommage parodistico (in “Hegel in Haiti” o in “Black Jacobins”, ad esempio). A rendere l’operazione diversa da un semplice repêchage è una virgolettatura implicita di quel materiale, oltre a un certo nervosismo di fondo, molto contemporaneo, che fa sì che gli interventi solistici si traducano in estemporanee variazioni senza tema, in rielaborazioni scaturite volentieri da materiale bruto, magmatico. Ecco, al di là del tributo anche ironico a certe sonorità dei bei tempi del jazz elettrico, qui sta l’attualità del progetto: materiale improvvisativo puro, in cui galleggiano talvolta echi, o si riconoscono ostinati, ma mai canoniche rielaborazioni tematiche.

Gianmaria Aprile on Sodapop

Recuperare dischi dal passato e ristamparli dopo quasi vent’anni è sempre un’operazione un po’ pericolosa, perché si rischia di trovarsi in mano del materiale troppo vecchio. Ma ormai cos’è “vecchio” quando si parla di discografia? Nel giro di una sola settimana un lavoro diventa vecchio come quello uscito 10 anni prima. Oppure diventa nuovo e attuale perchè l’hype vuole farlo tornare di moda… cicli su cicli, corsi e ricorsi storici.

Non solo, perché tra ristampe, cofanetti e nuove stampe come se piovessero, abbiamo un disastro di materiale da tuffarcisi dentro a piedi uniti. E l’operazione della lungimirante AUT Records, di casa ormai berlinese, recupera e dà vita Bug Jargal, un trio di ottimi musicisti: Luciano Caruso al sax soprano e alle tastiere (già presente nel duo Tripterygion pubblicato sempre da AUT); Giorgio Pacoring, al Fender Rhodes e ai nastri, e Nello Da Point alla batteria. Un trio spumeggiante, vivo, in continuo movimento, che richiama (soprattutto per le trame e pedali costruite sul Fender) un Miles Davis elettrico, ma con un sound inglese, in particolare nella seconda traccia del disco. Pensate ad un Evan Parker al sax soprano che sostituisce Miles Davis alla tromba nel periodo elettrico. Pensate ad una batteria più presente, più ricca di piatti, e meno in loop, e qualcosa dello storico trio dovrebbe materializzarsi nelle vostre orecchie. Ma questo è solo l’inizio perché, dopo i primi due brani, tutto si trasforma e poi ritorna in Hegel In Haiti, in un dirompente crescendo blues-jazz che ha la dinamica e il funky nascosto delle cavalcate di Bitches Brew,fino a passare a intrecci percussivi dal sapore esotico ed etnico con lo spirito del Don Cherry della metà degli anni ’70 che aleggia nella splendida Turtles all the way down. Di certo non si tratta di copiature, ma di ispirazioni, che arricchiscono un lavoro vario e colorato, ma che mantiene ben stretta una sua solidità compositiva e di arrangiamenti. Come sempre un’ottima scelta, quella della Aut Records di andare a ri-pescare questo piccolo gioiello che conferma ancora una volta che anche noi italiani abbiamo un trascorso (e un presente) jazz che non è assolutamente da dimenticare.

John Book on This is Book’s Music

There was a comment saxophonist Anthony Braxton said in an interview that I felt was very interesting. I’m paraphrasing here, but he said something to the effect that just because he plays the saxophone doesn’t mean he plays or has to play jazz all the time. The instrument is held solid with jazz, even though it can be used in a wide range of settings, like a guitar, but the saxophone is just jazz. I thought of this as I was listening to this album by a trio who call themselves Bug Jargal. Nello Da Pont, Giorgio Pacorig, and Luciano Caruso begin in a very open fashion, not free jazz or anything but slowly building themselves up and I hear Caruso’s saxophone world. Here I was, expecting something textural and then Da Pont’s drums kick in and… it has a groove. Not funky, but it grooves well, just bars repeated without a bass line, and I say this because it’s what I generally crave in other music. Then Pacorig plays his Fender Rhodes and it sounds very much like jazz to me, or at least avant-garde jazz. It could be something freaky on ECM, it could be something on another distant record label, it could be one of Sun Ra’s musicians doodling in an earthbound manner. It’s not a garbled mess, there is some sense of precision going on, but it’s nice to hear just three guys playing for the sake of playing, very improvisational (at least to my ears) and without a care of where they’re going to go next, or with each other. Pacorig sometimes plays with the spirit of Herbie Hancock or Keith Jarrett so at times it may feel like you’ll think Miles Davis will come out, play his trumpet for two minutes, then stair at the wall for the next 22 minutes. As the liner notes state, “there is respect, mutual trust and complicity” and that can be felt. Again, unsure of where they’re going, but they’re going, and I’m glad they did. Further journeys, gentlemen.

Taran Singh on Taran’s Free Jazz Hour 1 and Taran’s Free Jazz Hour 2

Two radio podcast featuring two tracks from Bug Jargal’s album.

Pino Saulo on Battiti 1 and Battiti 2

Two radio podcast featuring two tracks from Bug Jargal’s album.

Ettore Garzia on Percorsi Musicali

Nel 1826 Victor Hugo, padre putativo del Romanticismo francese, rimaneggiò definitivamente il suo primo romanzo, “Bug Jargal”, scritto nel 1816 per soddisfare una scommessa nata nei circoli letterali del “Conservateur littéraire”; ad appena sedici anni, Hugo divenne il narratore degli eventi della Rivoluzione dei coloni di Haiti contro la dominazione francese, per molti traendo da essi lo spirito politico liberale. Sebbene questo aspetto sia ancora oggi controverso nella critica letteraria e c’è chi ancora attribuisce a quel saggio un valore politicamente in favore dell’ottica conservatrice dell’epoca, “Bug Jargal” è da considerare per molti come un teorema sul linguaggio e sulle sue relazioni nell’esercizio del potere: sarcasmo, retorica, degradazione sono aspetti ben evidenziati nel suo racconto, ma che potrebbero essere anche immagini pungenti da riscoprire anche in un disposto collegato con le altri arti.
Nel 1995 il trio di jazzisti italiani (Luciano Caruso al soprano, Giorgio Pacorig alle tastiere e Nello Da Pont alla batteria) sfruttarono la novella di Hugo, verificandone le sue possibilità sonore in concerti di solito tenuti a quattro con l’aiuto di Walter Dal Cin che si occupava dell’aspetto visivo attraverso la proiezione video; quelle prestazioni musicali, di cui circolavano solo bootlegs non ufficiali, sono state oggi assemblate definitivamente in un cd dalla Aut Records, scegliendo un’esibizione effettuata a Belluno, sebbene la stessa sia stata immortalata in una edizione a tiratura limitata, probabilmente dato il carattere speciale della proposta. Una ristampa degna di avere una registrazione ufficiale, perchè il trio con molta intelligenza sposta l’universo immaginario di Hugo in una propria realtà sonora che ne è intimamente collegata: non è solo l’empatia tra i tre musicisti che viene sviluppata, quello che più colpisce è l’onestà intellettuale dei suoni cercati come nel parallelo con il romanzo di Hugo, in cui egli si prefiggeva l’obiettivo di rappresentare la morale dell'”Homme honete”; sono proprio gli interventi singoli dei musicisti, le loro soluzioni perfettamente consone ad una trasposizione musicale di propria gestazione, che determinano il valore di un’esperienza che era caduta nell’oblio.
Sotto l’influsso di originali reminiscenze del Miles Davis elettrico, l’impostazione della radice jazzistica si apre all’esoterico e al coagulo con la realtà di una situazione antica che privilegia il rispetto delle narrazioni con moderni rivestimenti di improvvisazione jazz: Caruso educa il suo sassofono alla convivenza con l’ambiente storico, è descrittivo e democratico quanto basta per accogliere l’esclusività e la ricercatezza dei suoni profusi da Pacorig (sentire gli splendidi rigurgiti di Fender in “There’s many a slip twix the cup and lip” o il frequente ed onomatopeico filtraggio della voce in modalità borbottio), con Da Pont teso alla mediazione di un apporto ritmico relativo che stia tra le sincopi jazz e l’alfabeto Morse del linguaggio di Hugo.
“Bug Jargal” non solo rimanda ad una storicità pressante e ambigua come quella del passato e di Hugo in particolare, ma resta musicalmente un’esempio brillante di creatività (una conformazione che certo non difettava ai tre musicisti) basata sull’interposizione dello spirito umanizzante delle arti.

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