Recensione di Paulo Chagas per Jazz.pt – settembre-ottobre 2011
Ando a ouvir este disco há uns dias e tenho aquela irritante sensação de não conseguir perceber o que é que isto me lembra. A verdade é que me lembra muita coisa, soa a muita coisa e, por mais voltas que dê, trata-se unicamente de música de câmara na mais pura acepção do termo – mais especificamente, um ensemble de sopros. O projecto italiano Kongrosian é um trio de palhetistas (Alberto Collodel, Davide Lorenzon e Ivan Pilat) de música improvisada-organizada, aberto frequentemente a colaborações com diversos músicos. Neste disco gravado em 2008, mas apenas editado no ano passado, o núcleo duro ainda funcionava em quarteto com o trompetista Alessio Faraon e expandiu-se a quinteto com a inclusão de um convidado especial – o clarinetista Oreste Sabadin. Todas as faixas do álbum são excertos de uma sessão de improvisação colectiva. A música é repleta de arestas melodiosas, com estruturas pré-concebidas sobre as quais discorre a técnica bastante apurada dos executantes, bem como a sua criatividade algo previsível, numa dinâmica de quase constante vai-e-vem no desenvolvimento das peças. Os enigmáticos vértices sonoros desta obra parecem ter sido todos boleados (ou baleados?) num exercício tendencialmente académico de contenção, como se a loucura emergente da improvisação tivesse de ser reprimida à nascença. As referências estilísticas são quase intermináveis por aqui: minimalismo, romantismo, dixieland, impressionismo, blues, “cabaret-style”, serialismo, hard bop, free jazz, “near-silence”… Tudo metido no mesmo caldeirão, mas conseguindo manter uma coerência bastante eficaz, graças à impecável produção do disco. É uma música que revela lucidez, apesar de ser questionável. Destaque para os ambientes nervosos na faixa “Inside an Enigma”, para o pontilhismo desconstruído e swingante de “A Hum Inside My Head”, para o humorismo melódico de ‘Tve Got a Lamp Under My Arm” e para o brilhante arranjo de “Fractal Structure of Revolutions”.
3,5/5
Recensione di Luca Canini per Il Giornale della Musica – dicembre 2010
Il perché abbiano deciso di chiamarsi come uno dei personaggi de I simulacri di Philip K. Dick, il pianista telecinetico Richard Kongrosian, prima o poi ce lo faremo spiegare da loro; il perché Bootstrap Paradox, disco d’esordio uscito per la neonata Aut Records, sia una delle più belle sorprese del jazz italiano targato 2010, è invece presto detto. Questione di lucidità, soprattutto. Mettere insieme cinque fiati, perché stiamo parlando di un quintetto di soli fiati, non è mica semplice. Si cammina lungo un sentiero molto, molto stretto: da una parte c’è il rischio dell’ammucchiata, dall’altra il pericolo dell’eccesso di formalismo. Il segreto è mantenersi in equilibrio tra jazz e camerismo contemporaneo. E se il modello imprescindibile non può che essere il Rova Saxophone Quartet, ci sono agganci-riferimenti alla musica classica (Ligeti e le sue partiture per quintetto di fiati, ad esempio) che donano alla musica un gusto schiettamente europeo. Ivan Pilat (voce, sax baritono e tromba), Davide Lorenzon (sax tenore e contralto), Alberto Collodel (clarinetto basso), Alessio Faraon (tromba) e l’ospite Oreste Sabadin (clarinetto). Segnatevi questi nomi e procuratevi questo disco.
Recensione di Stefano Solventi per Sentireascoltare – novembre 2010
I Kongrosian sono un trio, diciamo così, trevigiano, che come il (giustamente) celeberrimo radicchio si esalta espandendosi, apparentando sapore e consistenze con altri sapori altre consistenze. Tendono naturalmente al quartetto, e infatti vantano collaborazioni col notevole sassofonista Beppe Scardino e col drummer Stefano Giust tra gli altri. Di base, i tre combinano una misticanza insolita: clarinetto (alto e basso), sax (contralto e soprano) e un altro sax (baritono), quest’ultimo spesso e volentieri barattato con un mellofono. Coadiuvati in questo album d’esordio dal clarinettista Oreste Sabadin, sfornano impro con piglio dadaista e patafisico ma sanno metterci sotto (e sopra, e di lato) qualche batuffolo di mistero e un pizzico di serietà, così da sembrare una brass band ebbra sul ponte sospeso tra l’Apocalisse e il Paese dei Balocchi. Sedici tracce folgoranti (durata media sui due minuti) come micro massaggi neuronali o sketch ora garruli ora enigmatici, col jazz (passato, presente, futuro?) ridotto in coaguli scarmigliati e fragorosi, insospettabilmente lucidi.
(7.1/10)
Recensione di Andrea La Placa per Rockit – 5 novembre 2010
I Kongrosian sono un trio di fiati trevigiano dedito all’improvvisazione jazz, vicino alle derive colte e sperimentali ma insolitamente accessibile nella sua giocosità. Di volta in volta accompagnati da un ospite diverso nelle loro esibizioni live, esordiscono su un supporto meno volatile invitando il clarinetto di Oreste Sabadin, pittore, musicista e scultore veneto. Il risultato è questo “Bootstrap paradox”, grazioso digipack dalla grafica semplice ma curata che rispecchia le atmosfere e lo stile che si respirano nelle tracce dai titoli improbabili. Clarinetto e sax si incontrano e confrontano in episodi alle volte guardinghi e reattivi, alle volte compiaciutamente oziosi. Il tessuto musicale è volutamente lasso, ardesia su cui i Kongrosian si divertono a gessettate. I dialoghi spesso inforcano ritmi, scambi e melodie carismatici, salvo poi sfilacciarli e rituffarsi nel magma indistinto da cui riemergere con forme nuove. Il lavoro del gruppo è davvero piacevole e si presta ad ascolti ripetuti, vuoi attenti, vuoi distratti. Trattandosi di scambi tra fiati senza molte altre intromissioni, la proposta non si addice a tutti. Tuttavia, se siete ascoltatori aperti ed attenti, se avete orecchie preparate, se vi piacciono i dischi rilassati e diafani, forse avete trovato la vostra prossima dose di intrattenimento.
Taran Singh onTaran’s Free Jazz Hour 1,Taran’s Free Jazz Hour 2and Taran’s Free Jazz Hour 2
Three radio podcasts featuring three tracks from “Bootstrap Paradox”.
Recensione di John Book per This Is Book’s Music – 9 settembre 2010
The music of Kongrosian is free jazz, or is it improvisational jazz? I think both terms will bring to mind complete freedom, which for a few may mean “lack of organization or direction”, which in their case is untrue. Bootstrap Paradox (Aut) is a collaborative effort between the trio and Oreste Sabadin, and together they make music with a small bit of foundation, but then they each have the freedom to go anywhere and everywhere with what they do. In fact, the group say they are “a trio + 1″, and the role of that +1 is open to anyone who wants to join them. I love the concept of music that is “in the making”, or at least music that sounds like it’s being assembled as you hear it. You may hear trumpets, saxophones, and a bass clarinet play an off-key melody, while another clarinet plays around and within that melody, only for another instrument to follow, which in turns follows something else. It’s like an onion unveiling new layers, and you’re not sure whether to enjoy the onion or keep peeling. That’s the joy of such pieces as “I’m A Strange Loop”, “Fractal Structure Of Revolutions”, and “No, sir, away! A papaya war is on!”, the words have no reason for being there and perhaps the sounds are the same. They don’t belong, but do because that’s how it’s combined, to create these reckless sounds that may make you want to join in and play. Bootstrap Paradox is an album that is far from lacking any direction, the fun is trying to compile the sounds and figure out what they’ll do next. I look forward to their next destination.
Recensione di Michele Coralli per Blow Up – settembre 2010
Quartetto italiano di fiati che esibisce addentellati con il mondo delle fanfare free del tempo che fu non negando sponde con quel ramo colto del jazz europeo fortemente ibridato con musiche più o meno accademiche. Trame molto frizzanti ed entusiasmo, spesso assente in contesti analoghi jazz-alternativi, sono certamente le caratteristiche che preferiamo in un lavoro che nella sempre più aspra terra italica depone un seme con buone possibilità di attecchire. Torneremo tra un po’ a vedere se la piantina è spuntata.
(7)
Recensione di Marco Carcasi per Kathodik – 10 agosto 2010
Cartone spesso, bianco/nero e senso d’urgenza. Dentro, storie grandi e piccine, percorsi collettivi, traiettorie individuali, parole ed il loro senso (anche nell’assenza…), sudore, dedizione, a dormir tardi ed alzarsi sempre troppo presto. Questioni ordinarie, di normale resistenza/rinascimento. La ferocia dell’esserci e del fare. Continuo movimento. Azione. Kongrosian, son gruppo di soli fiati, attivo dal 2006. Jazz, senz’altro, sghembo, squittente e traverso (poteva essere altrimenti?). Che flirta con inflessioni cameristiche, accenti afroamericani, si perde e si ritrova. Ma non abbandona mai, il puzzo tipico, benedetto e caratteristico, di chi, quel che produce, lo vive in fiero antagonismo. L’arte dello scavo, la ricerca, ed il sudore correlato. Kongrosian, è azione/opera politica spontanea. Ecco allora naturale, il disgusto che sorge, alla vista e all’ascolto, del jazz pastorizzato da quotidiano, da auditorium patinato e parruccone. “Bootstrap Paradox”, è l’ennesima conferma, che la vita, oltre la spessa coltre di merda, che galleggia in superficie, continua, e possiede, una fottuta voglia di veder le stelle. Alberto Collodel (clarinetto basso), Davide Lorenzon (sax alto e tenore), Alessio Faraon (tromba), Ivan Pilat (sax, tromba e voce), lo special guest, Oreste Sabadin (clarinetto), son gli artefici di quest’ottimo lavoro. Un trio di base, Collodel, Lorenzon e Pilat, che diventa quartetto, quintetto, scavando ed indagando criticamente, in studio e dal vivo, fra le pieghe del proprio suono. Ed il qui, ed ora, ruspante e diretto, proposto in quest’occasione, diventa irrinunciabile. Santi, o matti, che bussan alle porte del paradiso, senza ottener risposta. Siam in Italia, più matti, verrebbe da dire. Seguirne le gesta, è un dovere morale. Una sinfonia di cervelli in subbuglio. Altroché, questa, è musica popolare. Un disco della Madonna (più chiaro in questo modo?).
Recensione di Andrea Ferraris per Sodapop – 24 Luglio 2010
Oltre ad Oreste Sabadin al clarino, dietro al nome Kongrosian compaiono Alberto Callodel al clarino basso, Alessio Faraon alla tromba, Davide Lorenzon ai sassofoni e Ivan Pillat ai sax, tromba e voce. Non credo vada specificato che si tratta di un disco totalmente dominato dai fiati e che alla lontana (molto alla lontana) potrebbe ricordare il suono di ensemble famosi come il Rova, ma sarebbe come a dire che i Beatles e gli Slayer suonano simili perchè hanno entrambi batteria e tre strumenti a corde. Sebbene Bootstrap Paradox contenga esclusivamente materiale proveniente da un’improvvisazione collettiva data 2008, il suono del disco è ben lungi dal ricordare quel free radicale spesso informe e costellato di note strozzate e di dissonanze che, se da una parte fanno tanto “radical chic ribelle dello spartito e della melodia”, dall’altra iniziano un po’ a frantumare la minchia (mi spiace dirlo, ma è il difetto di moltissimi materiali su Creative Sources). I Kongrosian e Sabadin sfoggiano una cultura più o meno classica, da jazz evoluto ma allo stesso tempo antico, che va dai richiami dell’Art Ensemble a passaggi del dopo Ellington, ma soprattutto jazz ricco di scorie neo-classiche. Le melodie, al di là dei movimenti più storti, sono sempre al limite degli interni in “radica di noce”, eleganza di note o interi stralci di canzone abbozzati senza vergogna e per Dio, è il bello del disco! Il fatto è proprio che pur suonando volutamente vintage, questo insieme di musicisti sfodera un linguaggio che conosce bene e che organizza in discorsi dotati di una profonda dignità d’essere, che suonano tanto bene all’orecchio, quanto privi di ogni prevedibilità. Un disco che ho ascoltato in mutande e con la finestra aperta, mentre sorseggiavo acqua fredda, il tutto cercando pace dalla calura notturna mentre le luci delle colline tremavano distanti, perse nell’afa.
Recensione di Mario Gamba per Alias – 17 Luglio 2010
A volte viene da pensare che le formazioni jazistiche o post-jazzistiche di sole ance (il prototipo è il Rova Saxophone Quartet) siano diventate una iattura. L’ensemble Kongrosian è formato da Alberto Collodel, clarinettista, Davide Lorenzon, sassofonista soprano, contralto e tenore, e Ivan Pilat, sassofonista baritono. In questo cd hanno ospiti il clarinettista Oreste Sabadin e il trombettista Alessio Faraon. Bene. Fanno una specie di “Stravinski spiegato agli scolari di bocca buona in salsa vagamente jazz”, con gli ormai triti e ritriti “ostinati” e con una scrittura (loro dicono che è tutto improvvisato…) tipo scolari, appunto, e per giunta poco divertente. Eppure sanno suonare, hanno perizia strumentale, timbri chiari. Ma le loro pretese di camerismo jazz non ottengono altro che ovvietà.
Loris Zecchin su Solar Ipse #6
Nuova etichetta, nuove esperienze. Salutiamo con gioia la nascita della veneta Aut, concentrata, stando a queste prime uscite, nel documentare l’enorme mole e varietà di situazioni attraversate dalla scena jazz altra italiana. Il numero uno del catalogo è il disco dei Kongrosian: Alberto Collodel (clarinetto), Alessio Faraon (tromba), Davide Lorenzon (sax), Ivan Pilat (sax, voce, tromba) e Oreste Sabadin (clarinetto). Rutilante tappeto di onde sonore che è sì free, ma lascia fuori dalla porta tutte quelle tecniche indentificabili con parole come “sfuocato”, “evanescente”. Qui trionfa il gusto deciso e la fantasia. Ottimi.
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