Press Small Choices

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Maurizio Franco on Musica Jazz

Questo è un progetto cameristico, che getta un ponte tra i colori e gli umori della musica accademica del secolo scorso e la libera improvvisazione, basandosi sia sugli spunti provenienti da Ligeti, Sibelius, Gershwin, Messiaen, sia su quelli scritti dagli stessi musicisti del trio e in particolare da Papetti. L’attenzione al suono, soprattutto pensato in senso coloristico e di creazione di particolari climax, l’attento ascolto reciproco, la calibrata scelta delle note definiscono un’ambientazione musicale essenziale, in cui i dettagli acquistano un ruolo determinante per conferire autonomia e pregnanza ai diversi quadretti musicali di cui si compone il cd. Contribuisce all’interessante e originale risultato anche la qualità degli strumentisti, che calibrano tocco ed emissione, diversificando timbricamente le situazioni espressive di una musica che ha il pregio di muoversi su strade interessanti e purtroppo non molto battute.

Ken Waxman on The whole Note

Why not improvise on so-called classical music themes is a question increasingly answered in the positive by adventurous players of every genre. Thus the Italian trio involved in Small Choices dedicates more than half this CD to such prestidigitation.
These are serious improvisations, not a jazzy overlay of notated music however. Which means that when bassist Giacomo Papetti, pianist Emanuele Maniscalco and Gabriele Rubino on piccolo, soprano and bass clarinets deal with themes by Sibelius or Ligeti they bring the same freedom to experiment with them as they would with tunes by Ellington or Monk.
“Fine del Tempo,” for instance, inspired by Messiaen’s Quatuor pour la Fin du Temps, adds a rhythmic undertow, and before recapping the head, stretches the theme with unbroken trills from Rubino, Papetti’s slap bass plus Maniscalco’s repeated note clusters. On the other hand, Escape from Ainola, taken from Sibelius’ Fifth Symphony, maintains panoramic echoes with resonating chords from the keyboard and a buzzing bass line. Here Rubino creates the bonding ostinato as the others interject sub-motifs or decorate the brooding theme.
Solid definitions and identifications are proven unfeasible on some of the other tracks however. With sweeping piano glissandi, double bass thumps and a melody propelled by delicate soprano clarinet sweeps, “Nascondere” appears to be another contrafact of classical notated music. Instead it’s a completely original composition by Papetti.
Two of the three players here earned advanced conservatory degrees in both notated and improvised music. Although Maniscalco, in contrast, is an autodidact — like Schoenberg and Elgar — this sort of jazz-classical crossover will likely become much more common in the future. “Small Choices” shows the way.

Taran Singh on Taran’s Free Jazz Hour 1 and Taran’s Free Jazz Hour 2

Two radio podcasts featuring two track from the album.

Vittorio Formenti on Mescalina

Giacomo Papetti è un artista bresciano, specializzato nel basso, che vanta una carriera densa di stimoli  e di riferimenti variegati. Avviata  sul terreno del rock e del funk, la stessa si  è sviluppata attraverso interessi  nell’arte dell’improvvisazione e dell’accostamento a materiali di musica contemporanea, il tutto sostenuto da un parallelo crescendo di studi ed esperienze.

Questo Small Choices documenta un’interessante esplorazione del concetto di improvvisazione al di là degli schemi classici del jazz, indagando le possibilità offerte dal panorama della musica contemporanea in sodalizio con  Emanuele Maniscalco (piano) e Gabriele Rubino (sax piccolo e soprano, clarinetto basso), uniti a Giacomo nell’interesse all’approccio multidisciplinare.
Il lavoro è frutto di  una ricerca che Giacomo ha condotto in occasione della sua laurea in jazz al Conservatorio di Brescia e, in quanto tale, propone diversi  spunti di interesse specificamente culturale.
L’improvvisazione è sviluppata su brani  originali e su estratti dalla produzione di artisti “seri” quali Ligeti, Messiaen e Sibelius, selezionati sulla base delle opportunità che i materiali favoriscono all’espressione degli artisti.
  
Il percorso proposto infatti non ha un sapore né antologico né filologico; i musicisti non indagano un filone né intendono razionalizzare generi o categorie.
Prova ne é la perfetta integrazione tra i pezzi autografi ed il riesame del patrimonio colto selezionato; l’empatia è completa, talvolta forse eccessiva al punto da non oltrepassare certi limiti di impatto.

Il trio  propone composizioni proprie talvolta come cammei di passaggio (Far, Glimpse) ed in altri casi come episodi più compiuti, come in After That e Nascondere; le dinamiche sono sempre molto controllate, in perfetto stile cameristico;   i suoni sono sondati in dialettica ai silenzi, come faceva Feldman , anche se qui l’intreccio tra i musicisti conferisce sostanza e crea un continuo stimolo all’ascolto.  

La chiave di lettura appare comunque essere più vicina alla musica contemporanea che a quella di matrice nera.

Ligeti risulta un richiamo estremamente felice in entrambi i momenti a lui  riferiti, Hu Rock e Bela Bartok in Memoriam; l’arte del grande ungherese è infatti terreno fertile per richiami ma anche rielaborazioni che uniscono l’impegno cameristico all’uso di  ingredienti popolari quali il rock o il folk. Nel primo dei  due episodi il basso ostinato percorre il beat, il clarinetto  fa da contrappunto libero ed il piano lega i due livelli in passaggi sovente cementati dall’accordo. L’impressione netta è quella di una rilettura libera che tuttavia evita radicalismi grazie all’impianto di base; la ricerca non è la provocazione ma lo stimolo delle esperienze.
Stesso effetto nel brano dedicato a Bela Bartok, in cui il tono ieratico e l’intermezzo punteggiato richiamano il ritmo di Stravinski con la sua forza narrativa.
  
La ripresa di Messiaen, in Fine del Tempo, è quella che più mantiene la vicinanza al jazz moderno sia per le geometrie che per la ricchezza ritmica; qui i musicisti sembra riescano anche a divertirsi, alternando intrecci a spunti più autonomi.

Nei due passaggi di Sibelius il trio sfrutta più i  caratteri modali e riduttivi   della matrice base che permette algidità riflessive, spunti folk, trilli ostinati e ritmi articolati; in Escape from Ainola il basso veloce (e con archetto), il piano interallacciato e il clarinetto lento creano una multidimensione estremamente interessante.

Il Finale, di Gershwin, lascia comunque poco spazio al Tin Pan Alley; la trama è dilatata, analizzata e scomposta al punto di  essere a fatica rintracciabile; l’impressione è che i musicisti vivisezionino la tessitura e l’effetto finale è piuttosto astratto.

Crediamo che il segreto per apprezzare questo lavoro, intensamente cameristico, decisamente moderno, piuttosto astratto   ma tutt’altro che astruso stia nel cogliere il senso di un impegno intellettuale non didattico ma vitale; i musicisti vivono la loro esperienza sapendo cosa fare e come proporlo, l’ascoltatore deve riuscire a leggere in sintonia senza cercare schemi a priori ma apprezzando i vari “attimi fuggenti” all’interno di uno schema inusuale; il jazz quando incontra la musica contemporanea può generare esitazioni   ma in realtà celebra una delle migliori compatibilità della musica del XX secolo.

John Book on This Is Book’s Music

Small Choices (Aut) is a jazz album that is built from the bottom up, or the inside out, or there are portions where the playing of Giacomo Papetti, Emanuele Maniscalco, and Gabriele Rubino sound as of they’re outside trying to play their way in. While the outside exterior may sound like free form jazz, hearing the way the piccolo and soprano and bass clarinets are used may make some listen to this as a classical piece, which would make sense. “Escape From Ainola” sounds like a song you may expect to hear in a dramatic film shot in the fall or winter while “Béla Bartok in memoriam” is deliberately mournful. A nice and welcome energy boost can be felt in “Hu Rock”, where the three musicians create a close-to-jam that never quite gets there but it’s the attempt in getting “there” that makes it special.
One hears music like this and while distinctively European, you can hear how their influences transferred over to not only American jazz, but our own folk musics as well, the passing of cultures and how that steady stream still exists. What the actual small choices may be is unknown but by looking at the cover artowkr, it may be about making tough decisions that aren’t so touch, but the choice made could cause a ripple effect in your live and others around you. Hearing an adventurous album like this is a mere choice, but a wise one that will lead to positive effects.

Ettore Garzia on Percorsi Musicali

Accreditato come formazione alla leadership del giovane contrabbassista Giacomo Papetti (classe 1984), in realtà “Small Choices” è un progetto molto più democratico di quanto si pensa. Sebbene possa essere nausante per qualcuno ripetere certi concetti, è necessario soprattutto in questa sede rimarcare la circostanza di come la modernità musicale (sia quella proveniente dal mondo classico sia quella sposata indirettamente dal jazz) abbia consentito di esprimere e di calzare determinate sensazioni che la tonalità pura non era in grado di fare: mistero, inquietudine, riflessione, etc. trovarono da inizio novecento in poi una loro nuova e indiscutibile presenza; “Small choices”, riflettendo l’ampia preparazione dei musicisti coinvolti e seguendo alcuni canali guida, prova a costruire un pamphlet che sia in grado di ricreare (con una giusta dose degli elementi coinvolti) una situazione globale, uno spirito vitale a cui aderire: qui la parte della modernità che viene considerata è quella che corrisponde alle presenze mistiche, ai massimi indagatori delle relazioni tra musica e spiritualità, che impegnò gran parte della vita di Oliver Messiaen (il Quartetto per la fine dei tempi è ispirazione anche di una improvvisazione del trio) e l’essenza delle idee di Gyorgy Ligeti (qui evocato in un brano della raccolta di Musica Ricercata): questi idiomi sono ripresi cercando, però, di iniettarne lo spirito in un qualcosa che non sia solo enigmatico o estatico e rivolto alla caratterizzazione del suono, ma sia consono ad essere trasferito nel mondo del jazz; seguendo questo principio il trio ricuce il divario tra le imprese di Messiaen e Ligeti e quelle dei pionieri “obliqui” del jazz, tra cui il riferimento (anche palese in “Finale”) è a Gershwin depurato della parte “standard” e colto in quella messianica. In Small choices non si assiste ad un tour d’improvvisazione libera, ma c’è la volontà di impressionare attraverso la calibratura dei suoni: la validità di questo trio sta nel fatto che non solo è capace di fornire descrizioni ed immagini vivide all’ascolto (circostanza mai trascurabile nonostante le consolidate tendenze), ma anche in grado di lasciare una “impronta”, qualcosa che di ben definito, che è spirito e presenza contemporaneamente, che resta lì a nostra disposizione: “Small Choices” suona perciò camerale e jazzistico allo stesso tempo. Ci sono tutti i presupposti per un’intensa attività in cui sviscerare queste proprietà di compenetrazione che giacciono su tutti i versanti della musica suonata nel novecento: Papetti, in specie, esibisce anche il versante “rock” di Ligeti espresso con lo stile di un contrabbassista jazz (vedi la brumosa cartolina di “Hu Rock”). Emanuele Maniscalco non è una sorpresa: dopo un periodo di gestazione nei gruppi di Battaglia e Rava (Emanuele è anche un batterista), ormai il pianista mostra una maturità artistica svincolata da altri modelli, circostanza che potrebbe essere stata uno dei motivi della acquiescenza di Eicher per la sua registrazione all’Ecm tramite Third Reel; così come positivamente sorprende il clarinetto di Gabriele Rubino, un nuovo attore dello strumento da prendere assolutamente in considerazione.

Gianmaria Aprile on Sodapop

E pensare che ho conosciuto Davide solo due anni fa, ad un mini festival in quel di Bologna e lui era timidamente seduto al suo banchetto con le prime due uscite, abbiamo scambiato due parole e poi ci siamo ripromessi di tenerci in contatto. E così è stato, e da quelle due uscite di partenza è giunto ormai alla sesta, aggiustando sempre di più il colpo e mettendo a fuoco per bene quelli che erano i suoi obbiettivi. Così la Aut records, trapiantata a Berlino e capitanata da Davide Lorenzon sembra essere capace di fotografare con colori vividi una attitudine ben precisa e un gruppo di musicisti che ne fanno parte. E anche questo lavoro in questione a mio avviso funziona, me lo hanno detto le mie orecchie e il mio cervello, perché dopo una settimana di distacco dal suo ascolto ho riconosciuto le parti che ormai mi erano entrate nel cervello creando delle connessioni neuronali. Ed eccomi quindi qui a parlare di questo trio composto da: Giacomo Papetti – contrabbasso, Emanuele Maniscalco – pianoforte, Gabriele Rubino – clarinetto piccolo, soprano e basso. Trio che intelligentemente inserisce nell’organico uno degli strumenti spesso snobbati del jazz che è il clarinetto (ricordo solo il capolavoro che è Out To Lunch di Eric Dolphy), sia nella sua veste di piccolo, di soprano, che in quella di clarinetto basso. Un trio che riesce a mantenere viva l’attenzione e a ben differenziare le strutture anche solo con tre strumenti così marcatamente forti nel loro suono, senza dover ricorrere ai soliti “trucchetti rumoristici” tipici di chi fa improvvisazione, ma riuscendo a scavare tra le sfumature timbriche, in relazione anche alle pause e alle sospensioni sonore. Un lavoro studiato e sviluppato anche sulle dinamiche (anche questa caratteristica spesso troppo dimenticata) e sull’armonia, ma soprattutto un lavoro ben definito nei “momenti” musicali che sono costruiti da percorsi sonori che prendono forma e cambiano direzione quasi ad ogni singola nota, come se fossero delle frecce direzionali che indicano da che parte andare a sviluppare il suono. C’è un’attenzione quasi certosina nella stesura della notazione e nell’esecuzione, anche quando improvvisata, ma senza perdere l’emozione e la sensibilità nell’atto di riprodurre quelle note. In sospeso tra contemporanea e jazz, e basato sul rapporto e sulla comunicazione tra materiale scritto da grandi esploratori del cosmo musicale come Ligeti, Sibelius e da grandi romantici come Gershwin, e materiale originale del trio. Ed è proprio questo il punto di forza; la terza via di comunicazione esplorata e registrata che sta nel mezzo (o di lato, o di sopra o di sotto…vedete voi) ma soprattutto che sta altrove tra le composizioni originali di grandi maestri e la freschezza di un suono scritto nei giorni nostri…ed è questo che rende davvero interessante Small Choices.



Roberto Paviglianiti on Strategie Oblique

Small Choices è un album che sfugge con caparbietà agli incasellamenti di genere, anche se il trio pensato e fondato dal bassista Giacomo Papetti si muove in territori prossimi a quella che, in linea di massima, potremmo definire come moderna avaguardia. Questo sia per quanto riguarda la rivisitazione e l’ispirazione tratta da pagine importanti del colto Novecento, vedi Ligeti, ma anche George Gershwin, Olivier Messiaen e Jean Sibelius, sia per le scelte operate in fase di composizione dei brani originali, spesso nati dall’unione di piccoli riferimenti timbrici che dialogano in spazi ritmici dilatati, a volte al limite del silenzio. In After That le atmosfere sono sinistre e inquietatanti, l’andamento è frammentario in Thieves In Ainola, e raramente si rintaccaino brandelli di melodie lineari e facilmente assimilabili. I brani lasciano aperti varchi all’espressione solista, mentre l’intero insieme beneficia del pianismo di Maniscalco, capace all’occorrenza di essere sia docile sia spigoloso. In un ambito formale lontano dalle consuetudini risulta decisiva, in termini di ampiezza espressiva, l’alternanza che Rubino ottiene dall’utilizzo del clarinetto piccolo, soprano e basso, per un lavoro di sicuro interesse e prettamente dedicato agli amanti delle sonorità inconsuete.

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