Press Toxydoll Bullsheep

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John Book on This is Book’s Music

On the outside, Toxydoll reminds me of the kind of band that listened to way too much Mr. Bungle and said “fuck it, let’s do things our own way and turn our music into a carnival”. The group consists of Vicent Doménech, Alberto Cavenati, Bob Meanza, and Olga Nosova and with Bullsheep (Aut) they go out of their way to reach the edge and find pleasure in falling off, exploring their surroundings and going for anything and everything to make their music not sound like anyone else. It can be tribal at times, it can be beautifully harmonic, then other times they incorporate thick guitar riffs and come off as incredible spastic. It sounds like a massive organization going in for the kill but it’s just four guys playing great jazz that is on the verge of exploding. The difference is that they know how far to go and never push themselves too much, just traveling and making that journey part of their sonic experience. Tempos, textures, rhythms and everything else go back and forth, over and under as well as sideways down, leaving the listener unable to comprehend where they’ll be going next. In other words, for those who want their jazz on the very adventurous side.

Ettore Garzia on Percorsi Musicali

La stessa compattezza si ripropone nel quartetto dei Toxydoll, composto da Alberto Cavenati (ch. elettr.), Bob Meanza (tast.), Vicent Doménech (sax alto) e Olga Nosova (batt.) in terra berlinese: Bullsheep si poggia sugli scatti strumentali veloci, su un caos organizzato che ricorda certe cose di Berne nei settanta ideologicamente a cavallo tra free jazz e rock. In lavori di questo tipo la differenza tra un lavoro medio ed uno di qualità sta nelle soluzioni che si riescono a trovare e in Bullsheep ci sono parecchi tentativi di lambire la pesante densità dei suoni; spiccano capacità nel disegno apparentemente ingenuo che il gruppo ha riservato all’idea (coltivata in copertina) di restituire un significato alla tossicità animale. Con Cavenati e Nosova realmente sugli scudi in Bullsheep c’è molta sostanza improvvisativa sebbene non si possa naturalmente parlare di novità generative.

Alessandro Bertinetto on Kathodik

Essendoci lo zampino di Bob Meanza (tastiere, elettronica) non dubitavo della qualità di questo lavoro, e come previsto non mi ha deluso. Composizioni robuste, che giocano sull’alternanza tra ripetizioni di pattern, su cui il sax di Vicent Doménech, la chitarra elettrica (a volte decisamente metal, altre più sofisticata, ma sempre decisa) di Alberto Cavenati le tastiere e irradiano i loro assoli, e slittamenti tra prospettive musicali diverse (notevoli i cambi di ritmo), in una sorta di rivisitazione jazz sperimentale del progressive (si ascoltino ad esempio Hands Against the Bike e TSK TSK TSK, la cui fine-interruzione è proprio un’alzata di spalle). Ma nel background del gruppo c’è anche molto buon hard rock (cfr. l’inizio di Renato Pulled a Number, che si conclude però in modo molto delicato). Il toro-pecora, evidente metafora sonora della bullshit, ma espressione molto più accattivante e divertente, è un disco pieno di spunti d’interesse, che offre un sound e un groove decisamente di qualità. Per l’insistenza del martellamento sonoro – seguita da un intervallo più fluttuante – segnalo il brano eponimo (Bullsheep X), in cui compare anche un assolo di batteria che, curiosamente, mi sembra una rivisitazione dell’assolo di batteria di Ringo Starr in Abbey Road (ma è solo un’assonanza dovuta alla mia indefessa beatlemania) e l’ossessiva (anche un po’ troppo?) conclusione dell’ultima traccia, Sheepshifter X.

Editorial on Vital Weekly

Toxydoll is a Berlin-based quartet with following crewmembers: Vicent Doménech (alto
sax), Alberto Cavenati (guitar), Bob Meanza (keyboards, electronics) and Olga Nosova
(drums).
Nosova is from Moscow and played about everything there in local groups. Nowadays
a duo with Alexei Borisov is a main activity. Bob Meanza is the pseudonym of Michele
Pedrazzi, Verona-born pianist and electronic musician. Also Cavenati comes from Italy,
but is a busy bee in the Berlin scene nowadays. Domenech comes from Valencia where he
studied jazz at the conservatory. So we have an international line up here, presenting
their second album for the also Berlin-based Aut label. In 2013 they debuted with a
live album. ‘Bullsheep’ is a studio work. Recordings were done in an Italian studio
shortly after touring this country. So we have them here as tight playing as possible.
And that is a good thing as this makes their rhythmic complex and jumpy music more
convincing. We find eight tracks on their cd, all between four and seven minutes,
composed by all members except Nosova. Room for improvisation is limited. All tracks
are complex constructions starting from an identical vision: jazz and rock are the
constitutive ingredients. With jazz integrated into a rock context more than it is
the other way around. Their eclectic avant rock picks up where older bands like Doctor
Nerve, Curlew and Miriodor stopped. In that sense Toxydoll doesn’t open new windows,
but it is a great pleasure to have a new band as fresh and tight as Toxydoll that
continues in this tradition. (DM)

Luca Roncoroni on Sentire Ascoltare

Toxydoll è un quartetto di estrazione piuttosto cosmopolita (con anche tanta Italia) ma stanziato a Berlino, di cui rappresenta uno scorcio di underground innervato da sperimentalismi assortiti. In formazione ritroviamo anche quel Bob Meanza (qui all’opera tra synth, tastiere e mixaggio) di cui avevamo recensito l’ottimo OU in coppia con il sitarista Filipe Dias De, elegante ed ispirato viaggio tra primitivismi ambientali e cosmicheggianti ritualismi.
Nulla di più diverso dal disco appena citato si potrebbe immaginare nel caso di Bullsheep, esordio (se si esclude un live-album) del quartetto presso Aut Records. La sbilenca ed irrequieta allucinazione (meta)musicale portata avanti (ma anche indietro, a destra e a sinistra) lungo le otto tracce in scaletta è uno schizofrenico ed iperattivo pastiche ammantato di jazz – soprattutto grazie al sax di Vicent Doménech – sulla falsariga degli indimenticabili e seminali Naked City di mastro John Zorn, o di qualcuno (scegliete pure a caso) dei mille side-projects del compare-collega Mike Patton: l’attitudine squisitamente free-jazz e un approccio vagamente prog sono infatti perennemente squassati da incubi e deliri quasi grind e spesso sfocianti in deflagrazioni al confine (se non oltre) con il noise più caotico, chitarre drogate da infiniti riverberi e fuzz, e drumming spastico e frenetico.
Il risultato finale è qualcosa di informe ma personale, super-contaminato e orgogliosamente deviato: a tratti un mero esercizio di stile fine a sé stesso, ma sempre e comunque animato da un sincero sperimentalismo.

Giacomo Salis on Music Addiction

Per chi ancora non si fosse imbattuto volontariamente o incidentalmente nella loro musica, i Toxydoll sono una band di impro-avant-jazz che muove i primi passi nel 2013 a Berlino. Quattro improvvisatori indefessi, amanti del rumore, dei controtempi e delle distorsioni: Vicent Doménech al sax, Alberto Cavenati alla chitarra, Bob Meanza alle tastiere e all’elettronica e Olga Nosova alla batteria… Vengono dall’ambiente underground dell’improvvisazione radicale e perseguono la loro idea selvaggia e indomata di suono free, scevro da preconcetti e forzature stilistiche di genere, sempre teso a inglobare le più diverse influenze.
Sarà l’aria berlinese, ancora così ricca di spunti e stimoli, storici, visivi, letterari, musicali… Sarà l’impostazione di partenza colemaniana e la formazione che tiene insieme strumenti tipici del jazz, del rock e dell’electro, ma la band riesce sul serio a coinvolgere l’ascoltatore in un imprevedibile e incessante vortice di suggestioni eterodosse.
Dopo esordio sempre su Aut Records, “Live at the Loophole” del 2013, che fotografava l’anima più caotica e indisciplinata della band, i Toxydoll hanno scelto di rompere il silenzio alla fine del 2015 con il nuovo lavoro “Bullsheep”, registrato alla fine di un tour in Italia e mixato a Berlino nell’estate dello stesso anno. Un’opera più coesa, dove le composizioni testimoniano un sound vario e stratificato, ma al contempo più a fuoco e cosciente dei limiti standard di un gruppo che mostra l’esigenza di reinventarsi di continuo. In pratica i Toxydoll sfuggono al pericolo di ripetersi e rinnovare la normalizzazione del caos, o la saturazione di dettagli e concetti, che nella maggior parte dei casi conduce a una poetica opposta, vale a dire di esasperazioni prevedibili o di suoni tanto mobili e scomposti da risultare fissi e statici. Qui invece si asseconda l’identità mutevole delle varie personalità all’interno della band, cercando la quadratura armonica (o disarmonica) in una sintesi contemporanea dello spirito punk e free jazz.
Ed è così dall’apertura di “Meal for Mum”, che fonde il punk-rock, la no wave newyorkese e il jazz, nel perfetto stile di Lurie e soci. Si passa per gli umori free-prog di “Tsk Tsk Tsk”, non manchevoli di risvolti ironici nel suo effetto cartoonistico: i Toxydoll dispiegano temi dal forte carattere e di rimarchevole impronta sonora per poi dissimularli, riacciuffarli, scomporli e travestirli in un interessante gioco di incastri e trasmutazioni. Ci si muove in territori jazz/math-rock in “Bullsheep X”, mentre “Renato Pulled a Number” è puro blues noise, come potrebbe piacere agli Swans.
Il brano “Mantis Dance” permette ai singoli strumentisti di mostrare le proprie doti improvvisative, dal drumming prossimo allo stile di Graves di Olga Nosova, ai gorgheggi evocativi del sax di Domenech, dallo stile chitarristico di Cavenati, abrasivo e dissonante, in bilico tra Arto Lindsay e Robert Quine, alle doti atmosferiche e manipolatorie di Meanza.
Uno dei migliori brani del lotto, a tal proposito, è sicuramente “Zoft Mascheen”, con le sue ascendenze prog-jazz-rock, dove a temi colemaniani rispondono in uno straniante interplay i campionamenti in tempo reale a opera di Meanza.
Il loro suono riesce a rievocare il jazz punk dei Lounge Lizards, ma come “ideologia” è spesso vicino all’anarcho punk dei The Ex o all’estetica promossa da John Zorn con il metodo “file card”. L’effetto è quello di una radio impazzita, un cut up viscerale e prepotente, dove si profila e si respira il senso della malsana frenesia metropolitana, lo spirito di una di quelle città in cui non si dorme mai e ciò che conta è l’essere sempre al passo con i tempi già persi… come pecore che si credono tori, o tori arresi alla vita da gregge.

Taran Singh on Taran’s Free Jazz Hour

A radio podcast featuring a track from “Bullsheep”.

Dave Foxall A Jazz Noise

When I saw Toxydoll at Nocturna Discordia #64, I’d not heard of them before. If you want to know what kind of first impression they made, consider that the following evening, I crossed town to see them again, this time playing a short set at Barcelona’s Ultra-Local Records.

Toxydoll use a palette of free jazz sounds (especially Doménech’s alto), then stir in some prog compositional structures, a pinch of 70s blues-rock guitar and drum riffs, surprising touches of melodic jazz fusion, and mix it up with punk-industrial bludgeon. It’s an ambitious recipe – an oddball musical collage – and it works.

The opener, Meal for Mum, starts with a simple organ riff, building in volume and tempo until imploding into elegiac saxophone driven by a cymbal-heavy rhythm. It’s tight, engaging and compelling, but Toxydoll can’t resist mischief and half-way through the tune it becomes an abstract electronic soundscape which in turn becomes the canvas for a free jazz horn solo that retains a strong sense of melody. By way of contrast, cue the intro of Hands Against the Bike! which bristles with Cavenati’s crunchy guitar, alternating with his bandmates in a call-and-response sequence before Doménach lays out the theme. Bullsheep X is all swaggering drums and guitar riff, interspersed with a saxophone and electronics refrain edged with melancholy. A highlight is the fluid, heavy drum solo that shows off Nosova’s power and precision. Renato Pulled a Number is dominated by fuzzed-out and angular, blues-infused guitar before Meanza’s electronics lead us to a gentler and thoughtful sax-led coda.

And so it goes… at times magnificently dissonant, at others right in the pocket of a tight groove. Strong sax melodies that twist and turn, abstract, dense electronics that are both crushing and whimsical, precise and understated guitar that erupts into free blues, and intense, febrile drumming that stitches everything together.

Zoft Mascheen is a languidly enthusiastic tribute (say the title out loud) and Mantis Dance is another showcase for all concerned, including no less than two drum solos (and may I say how nice it is to hear a good drum solo on record and not just in a live performance). Finally, Sheepshifter is a slow burn, building, building, building, before easing out with a last electric shimmer.

Toxydoll: refracting a dozen influences through their own peculiar prism.

Bernardo Mattioni on Beautiful Freaks

Bullsheep è il primo album in studio del quartetto Berlin-based Toxydoll. La band si forma nel 2013, ed ha già pubblicato un live album presso la stessa etichetta berlinese Aut Records. L’album e la band stessa, tuttavia, hanno numerosi legami con l’Italia: il concetto per Bullsheep è nato nel nostro paese, durante un tour della band nel 2014. Anche larga parte del processo produttivo dello stesso è avvenuto da noi, e due membri della band (Alberto Cavenati, gtr, e Bob Meanza, keys & electronics) sono italiani. Il quartetto, sax, tastiere+campionamenti, chitarra e batteria rivela immediatamente un approccio trasversale, con una batterista punk e un sassofonista free a completare la costellazione. Le premesse su cui Bullsheep fa leva sembrerebbero radicate nel jazz. Tuttavia, pur preservandone alcuni linguaggi (quello del free jazz, in maggior misura), il sound della band integra ed evolve il discorso, impattando e frammentandosi contro corpi solidi come noise, prog ed elettronica d’avanguardia. Se Renato Pulled a Number fosse stata la prima traccia dell’album, per i primi 69 secondi un ipotetico ascoltatore avrebbe potuto aspettarsi un disco più vicino agli Zeni Geva che a Ornette Coleman. Eppure non siamo così lontani. Certo, Naked City Noise Jazz Conspiracy e progetti affini vengono subito in mente, così come si può ricercare una radice comune nei vari Pharoah Sanders, Wadada Leo Smith e Cecil Taylor, ma la ruminazione di linguaggi e la digestione degli stessi è un aspetto caratterizzante e certamente interessante dell’album in questione. Tsk tsk tsk, ad esempio, dopo un incipit tra Horace Silver e Masada Guitar abbraccia un processo di straniamento improvvisativo che fa da contraltare all’approccio quasi standard del brano, sia ritmicamente che armonicamente parlando. La bellissima Mantis Dance fonde un complesso solistico fatto di campionamenti, sax, batteria e chitarra, mentre Zoft Mascheen espone splendidamente la dialettica prog, che per fare un paragone calzante si potrebbe avvicinare a Ultimate Adventure di Corea. Un disco intelligentissimo, che non si abbandona al solipsismo, ma sa districarsi nella moltitudine dei linguaggi che lo compongono, rivelando il piacere di fare musica nel perdersi.

Ed Pinsent on The Sound Projectors

Engaging energetic jazz-rock thing from Toxydoll, a four piece of European players who find themselves in Berlin as we write…their Bullsheep (AUT RECORDS AUT022) is a studio album which displays eight instances of their craft. It’s a remarkably “busy” record and the listener may find there’s almost too much going on in each track; by the halfway mark you’re already sated with ideas and information, and there’s still four tunes to get through. Their aim is “encompassing this whole contradictory universe in each single song”. The whole universe? A laudable aim, though an increasingly difficult one in today’s over-crowded world. I’d settle for just understanding the contradictions of my corner shop.

There’s much to enjoy in the itchy, restless manner in which they attack their tunes, the strange mixtures of jazz and rock elements, the expertly-manuevered tricky time signatures, the pre-planned moments of astringent discordancy…they even manage to smuggle in snippets of raw noise from their amplified instruments. Thus they build a very layered package in their offering, one that’s sure to cause mild bewilderment from genre purists. And as if wishing to pre-empt any comparisons, one track is jokingly titled ‘Zoft Mascheen’. So far I like it a lot more than the overly-ingratiating jazzy instrumental music that is often served up from Norwegian musicians on the Hubro label. Of particular interest to me personally is the presence of drummer Olga Nosova, who never fails to wow me whenever we receive a record from Astma, the highly abrasive band she plays in with Alexei Borisov and Anton Nikkilä, although since she didn’t appear on Toxydoll’s live record from 2013, I’m not sure of her current status as a member.

Alberto Cavenati is the lead guitarist, and he made a record called Lo Spazio Ai Margini for the Swiss label Unit Records in 2014; when given a solo spot here, his approach is to spread himself all over the task like so much hot wallpaper paste, filling every crack with his very fluid noodling and choppy strums; on ‘Renato Pulled A Number’ the listener is almost pulled inside out by his remorseless exploration of an idea. He’s also good at doing the nerve-shredding “jangled strings” thing, when Toxydoll decide to pull off a brief “psychotic brooding” episode in the middle of a tune. Then there’s Vicent Domenech, the alto saxophonist, probably the most conventionally “jazz” player in the group, who is compared in the blurb to Ornette Coleman and John Zorn. He lacks the grit of either player and his lines are a tad too fluent for me, his facile and showoff speedy runs slipping past the gullet as easy as banana ice cream, but he’s not taking the old-fashioned role of the leader, so his sound doesn’t dominate any single track.

Matter of fact you could say this about all Toxydoll’s tunes…they are a democratic band…each piece is a composite of moments, sellotaped together, moving swiftly from one passage to the next and showcasing different textures and sounds as the moving train passes along; we can enjoy a melodic treat worthy of early Frank Zappa one second, then pass into a strange realm of free-playing abstract noise. Speaking of textures, the foursome is completed by Bob Meanza, who with his keyboards and live electronics contributes some of this record’s sparkiest moments…when required, he’ll give us the classic electric piano sound which has been a feature of electric jazz since Joe Zawinul and Chick Corea onwards, but he’s also got a line in nice synthesised background purrs, samples, and bass synth playing that enriches the overall proposition enormously. Those who are intrigued might want to investigate the record he made as OU (with Dias De) for this same label.

In all, a very competent and professionally performed set of semi-improvised tunes, one which indicates Toxydoll’s ambitions to become “a group with a mutable identity” are paying off. From 27 January 2016.

Editorial on Noiself

La fusión jazz-rock de los 70 tenía varias motivaciones comunes, entre ellas los largos desarrollos solistas instrumentos electrónicos. Las fronteras entre los estilos del hard-rock (variedad metal-noise) y el jazz más febril (post free) habían sido rebasadas desde finales de los 80 en la escena underground de la Knitting Factory impulsada por John Zorn (en los 90 claramente con Moonchild) que pondrían en contacto a la “nueva ola” del jazz y el post-punk neoyorquino con una nuevo instrumento tecnológico: el sampler. Que este fenómeno hecho de pastiche y distorsión se expandiera a Berlín, a comienzos de los 90, era cuestión de tiempo.

AUT records, donde se ha editado este potente y estimulante trabajo, es un sello nacido en Italia en 2010 que estaba interesado en músicos de la escena de improvisación libre y freejazz. Promovido por Davide Lorenzon, al trasladarse éste a Berlin, continúo el proyecto trabajando con músicos italianos allí residentes, como Bob Meanza, aquí a los teclados y electrónica. La línea estética viene marcada por la escena experimental e internacional berlinesa, reuniendo en su catálogo freejazz, rock, electrónica e improvisación electroacústica. Este sello guarda una estrecha relación con los fundadores del colectivo El Gallo Rojo italiano (muy influido por el downtown neoyorquino de los 90, ver a aquí) y especialmente con uno de sus mentores, Piero Bittolo Bon.

Toxydoll sorprende desde el primer tema hasta el último. Y además deja con ganas de más, de volver sobre lo escuchado. Eso se consigue cuando al entrar al estudio sabes lo que hay grabar y la actitud creativa que hay que dejar para el directo. Tenemos un potente y estructurado inicio Meal for Mum, abrasivo y calculado metal en la guitarra (Alberto Cavenati) en Hands againts the bike!, el trenzado animado y barroco de Frank Zappa en Tsk, Tsk, Tsk, la pegada funk-rock (Olga Nosova) sucio y voluminoso que mezcla motivos melódicos en medio de calor industrial como lo haría un DJ en Bulsheep X, sonido electrónico fundacional de Stockhausen (el teclado funcionando como bajo) entre un cifrado en unísonos en Zoft Mascheen, un saxo (Vicent Doménech) que empuja de manera urgente y entrecortado en Mantis dance como el de Tim Berne (BB&C)…

Comprimido en una fórmula química híbrida de cuatro agentes (saxo, guitarra, tecLado y batería) y tres elementos (ruido, melodía y ritmo), este obsesivo e indómito trabajo es consecuencia de una escena underground que ya ha emergido ofreciendo el sonido de nuestro tiempo.

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