Monica Carretta on Musica Jazz
Immaginate un ottetto che, tra composizioni originali e improvvisazioni, unisca musiche di estrazione bandistica o tradizionali balcaniche a influenze orientali, della tradizione popolare e della musica classica europea. Un tal flusso di diversi linguaggi potrebbe risultare confuso se non fosse perfettamente calibrato. Ma fin dal primo brano la sintetica coerenza narrativa del lavoro di rota sa conquistare con esuberanza e freschezza. Le undici tracce, che non superano mai i sette minuti, ci trasportano con elasticità narrativa in un viaggio affascinante e sorprendente. Nelle sapienti composizioni del sassofonista e fagottista bergamasco, da lungo tempo attivo sulla scena della musica d’improvvisazione e del jazz, oltre che esecutore di musica classica in formazioni cameristiche e orchestrali, il tema ritmico agisce da vaso comunicante donando linearità e coralità al progetto. E’ un album maturo e visionario, registrato dopo un paio di live di riscaldamento e affinamento: opera di un leader che crede nell’efficacia della condivisione e non del protagonismo. La scrittura per un ottetto con quattro fiati – con timbri e colori precisi che ci indicano quanto sia raffinato l’immaginario compositivo di Rota – lascia spazio, nella sua complessità, a guizzi liberatori degli assoli di alcuni dei più significativi esponenti della nuova scena jazzistica italiana.
Baze Djunkiii on Nite Stylez
Coming in only recently despite already being released in November 2k18 as cat.no. 042 of the Berlin-based label Aut Records is “Octo”, the latest album piece realized by sax player and composer Roger Rota who’s diving deep into the realms of Contemporary Jazz with an eight piece group of musicians over the course of this longplayer. Opening with “Cordes” the group sets the bar high in terms of creating an amalgamation of Jazz Noir and monster grooves whereas the follow-up “Nine” leaves the aspect noir behind and paves the way for things to come with an even bigger wave of killer grooves that seem to be the trademark specialty of Roger Rota and his fellow contributors on their mission to bring Jazz with all its facets back to the dancefloor, even in its most improvisational moments. With “Star” we see the group start out on a calm, slightly Balearic tip only to experiment with variations in tonal and pitch shifts as well as seemingly electroacoustic background movements as a foundation for a deeper, dramatic BarJazz attitude, “Two” weighs in more of a hounded Rock meets Klezmer meets espionage flic vibe before taking a surprising turn breakdownwise mid-composition whereas “Inda Trio” keeps up with its predecessors pace albeit being on a more uplifting, 80s infused tip, “Fro Be Ach” employs a classy, widescreen panorama approach for broadway soundtracks and romantic black-and-white movie productions of yore before “Ten” brings forth hints of high class 70s Psychedelia for contemporary Jazz heads. Furthermore track eight named “Eleven” weighs in a calm, autumnal, yet touching take on deep emotions, “Liturgic-Lale” brings on a solemn, yet spring-like and frolicking naturalistic Folk-infused feel whilst “Cose Preziose” brings back an excellent BarJazz vibe for sipping on classy cocktails and the final cut “Gidambaa” caters a surprising serving of thrilling JazzFunk for a closing. Highly recommended, this.
Alessandro Bertinetto on Kathodik
L’alto sassofonista e compositore Roger Rota firma gli undici brani che l’ottetto da lui guidato propone per questo CD di Aut Records (che si segnala anche per il contributo alla grafica della copertina dell’altrimenti pianista Nicola Guazzaloca). Con lui suonano Francesco Chiapperini (alto, clarinetto e clarinetto basso), Andrea Ferrari (sax baritono e clarinetto basso), Andrea Baronchelli (trombone), Eloisa Manera (violino), Alberto Zanini (chitarra), Roberto Frassini Moneta (basso) e Filippo Sala (batteria). La chitarra di Zanini introduce Cordes, prima di lasciar campo ai fiati che imprimono dinamismo al brano fino alla sospensione meditativa proposta dal violino e al successivo ritorno dell’ensemble dei fiati. Apre con echi d’avanguardia novecentesca, per poi proporre una melodia orientaleggiante, Nine, uno dei brani più riusciti: oscilla tra la tentazione bandistica e l’avanguardia, con assoli dalle diverse tonalità espressive di chitarra, sax e violino. Star è eterea, suggerente, quasi psichedelica; minimalistica, dipinge soffusi spazi cosmici coordinando bene i disegni melodici dei diversi strumenti. Two riprende la tentazione bandistica, mentre India Trio apre al rock in modo forse un po’ troppo roboante (ma ci sta) e Fro Be Ach ci riporta, a tratti, in oriente, un oriente solo accennato ed amalgamato con una cadenza cameristica (convincenti gli assoli di sax e violino). Ten e Eleven continuano a dare i numeri, il primo con un’ossessione ritmica che sostiene accenni ancora orientaleggianti, il secondo delicatamente generando distese atmosfere nostalgiche. Liturgic-Lale è apprezzabile in particolare per l’ariosa melodia iniziale del violino sul sostegno dei fiati (in realtà, la cifra timbrica caratteristica di tutto l’album), ma poi si perde un po’ in un evitabile sviluppo quasi reggaeggiante. Cose preziose ha una malinconica esposizione tematica limpida e convincente. Il resto passa e va. Conclude Gidambaa in cui sull’incalzante riff di basso e trombone si staglia il tema degli strumenti nei registri alti e poi vengono proposti gli assoli. Un buon brano per presentare i musicisti a fine concerto.
Nazim Comunale on The New Noise
Un incedere sorvegliato, come un malintenzionato che impugni una lama affilata e prepari un agguato, a noi e possibilmente alle buone maniere che imprigionano il jazz; un che di Tim Berne nella scrittura, anche se il groove non stordisce come sanno fare quelli dell’altista americano. Resta a metà del guado, promette scintille che non arriveranno “Cordes”, la traccia di apertura di questo lavoro dell’ottetto di Roger Rota (sax soprano, composizioni ed arrangiamenti), tautologicamente intitolato Octo, pubblicato dall’instancabile Aut Records, della quale già abbiamo parlato negli ultimi tempi. La sezione fiati, che rappresenta la metà dell’ensemble, fa la parte del leone: oltre al leader, Francesco Chiapperini (alto, clarinetto e clarinetto basso), Andrea Ferrari (sax baritono e clarinetto basso, lo abbiamo ascoltato di recente nel duo NovoTono), Andrea Baronchelli (trombone, recuperate Out Of Suite dei suoi AB Normal, un ottimo lavoro). Completano la formazione Eloisa Manera al violino, Alberto Zanini alla chitarra, Roberto Frassini Moneta al basso e Filippo Sala alla batteria. “Nine” apre il sipario su un panorama novecentesco felicemente ambiguo, tra melodia e filosofia, poi l’incedere vagamente bandistico del pezzo non convince pienamente: ci sono tentativi di increspare le onde e far salire la marea, ma per il resto si sta in una aurea mediocritas che lo fa dimenticare. Decisamente più interessanti le esplorazioni di “Star”, dove una chitarra scova polvere cosmica sotto un tappeto da fanfara oltre le nuvole, come una elegia abitata da una psichedelia vaghissima: bastano pochi elementi, un tema denso di soul, di blackness, un groove che resta implicito, cenni e non fraseggi troppo pieni, un bell’incastro tra le quattro voci della sezione fiati e il violino, e tutto funziona a meraviglia. Con “Two” nuovamente però la scrittura si infittisce, si tende a voler riempire, senza che ci sia un’idea forte a tirare le fila, e allora il meccanismo s’inceppa: uno strano ibrido tra un groove sincopato praticamente drum’n’bass e un altro incedere bandistico che suona fuori fuoco. Nuovamente rock e muscolare “Inda Trio”, fracassona senza costrutto. “Fro Be Ach”, con la Manera protagonista e col suo passo più discreto e cauto, fa guadagnare nuovamente quota al disco, “Ten” lascia perplessi, sia nella scrittura, sia negli accostamenti timbrici che lasciano distanti, come fossimo visitatori di un museo invitati ad ammirare un manufatto protetto dentro una teca. Più coinvolgente il deserto immaginario – dal quale chissà se un giorno finalmente giungeranno i Tartari – di Eleven, sinuosa e sottovoce. Retta da una minima figura di basso e da un ritmo sghembo, “Liturgic-Lale” espone buone idee senza svilupparle a pieno, perdendosi a volte nel gioco di un interplay non sempre così pregnante. “Cose Preziose” è una ballad, o ci assomiglia: passa senza colpo ferire. “Gidambaa”, in chiusura, suona come una rivisitazione di “All Blues” di Miles senza ripeterne l’ineffabile mistero, ma portando un groove pieno e tondo: peccato per alcuni interventi un po’ didascalici che non aggiungono molto, semmai la rendono più banale, diluendo la forza dell’idea di partenza, che seppur semplice funziona. Chi scrive non ha assolutamente nulla contro la semplicità, anzi questo lavoro pare soffrire del problema opposto: un’ostinata voglia di aggrovigliare la matassa anche quando non è necessario, al netto di un mood che suona alle mie orecchie pericolosamente vicino alle secche di certo jazz italiano, pur mirando alle nevrosi urbane americane. Peccato, perché quando restano meno elementi in campo brillano idee buone: quattro pezzi su undici però sono troppi pochi per poter promuovere un lavoro che non ci ha convinto.
Mario Grella on La Voce di Novara
Il concerto del 30 aprile all’Opificio oltre ad essere stato un bel modo di festeggiare l’International Jazz Day, è stato anche un modo “coerente”, visto che sul palco del locale novarese si è esibita una formazione, la “Roger Rota Octo”, che, delle mappe ideali del jazz, non sa davvero cosa farsene. Questa è un po’ la chiave di lettura di molti concerti ascoltati negli ultimi due anni di Novara Jazz e non solo: se la frontiera del jazz sembrava essere tornata alla madre-Africa dopo le scorribande americane, da qualche anno si assiste ad uno spostamento di attenzione verso l’Europa balcanica e il vicino Oriente. Così dopo le sonorità nordiche del sax di Raffaele Casarano, sabato 29 aprile sotto la cupola di San Gaudenzio, ecco la proposta di Roger Rota (al sax alto),che gioca abilmente su sonorità complesse ed articolate, accompagnato da una formazione formidabile della quale fa parte anche Francesco Chiapperini (fedelissimo di Novara Jazz), al sax alto, clarinetto e clarinetto basso. Gran bel amalgama quello proposto da Roger Rota, del quale, non per nulla, uno dei pezzi più conosciuti si intitola “Manhattan Gandhi”. L’orecchio corre inevitabilmente alla coralità della musica di Goran Bregović, ma anche a quella fieramente magrebina di Abou-Khalil, in un rincorrersi di Europa, Nord Africa e Medio Oriente di gran classe e grande capacità comunicativa, anche grazie ad una notevolissima sezione di fiati che è capace di non oscurare il delizioso violino di Eloisa Manera e la suadente chitarra elettrica di Alberto Zanini. Completano l’ottetto Andrea Ferrari al sax baritono e clarinetto basso, lo strepitoso Andrea Baronchelli al trombone, Roberto Frassini Moneta al basso elettrico e Filippo Sala alla batteria. Il jazz sembra non conoscere più frontiere o meglio, le riconosce e sa renderle sempre più inoffensive.
Taran Sing on Taran’s Free Jazz Hour
Enrico Romero on Round Midnight – Controradio
Maurice Hogues on One Man’s Jazz
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