Baze Djunkiii on Nitestylez
Put on the circuit on March 2nd, 2k20 via Berlin-based label Aut Records as a limited edition CD is “Timewise”, the latest album by Simone Di Benedetto-led trio project Zarkan which she runs with fellow musicians Marco Colonna and Ivan Liuzzo. Based on clarinet / bass clarinet, percussion and double bass the musical triumvirate presents a tender, almost Classical or (Neo)Classical musical approach of sparse, score’esque qualities, creating a feathery, levitating, playful and positive, yet mindfully thought out feel which is at its best in the somewhat storytelling piece “Pause & Silence” which one might even describe as bordering Jazz Noir in its stripped down atmosphere whereas the lively, dramatic cut “In Time” surely is suitable for scoring theatre / screen / stage play just to pick two outstanding parts from a dozen that span a little more than 38 minutes. A remarkable non-stop performance, this is.
Luigi Onori on Il Manifesto
Il silenzio, la rarefazione, il suono che si dipana con lentezza, l’assenza del ritmo contraddistinguono il recente lavoro del contrabbassista Simone Di Benedetto, nel trio Zarkan con i clarinetti enigmatici di Marco Colonna e le percussioni coloristiche di Ivan Liuzzo. Il leader (nato nel 1989), diplomato in contrabbasso e composizione, ha al suo attivo vari gruppi e progetti (Archipelagos) che agiscono su un terreno in cui musica contemporanea e jazz, scrittura e improvvisazione problematicamente si intrecciano. Con l’etichetta berlinese Aut Records Di Benedetto ha già registrato un altro album dal titolo Il sistema periodico, ispirato al libro omonimo di Primo Levi. In Timewise si ascoltano tracce più melodiche (Preludio, Cyclic), altre con effetti di straniante crescendo (Suspension), call and response tra archi e ance (Solo). In repertorio, oltre ai brani del leader, troviamo composizioni di Gerard Grisey, Bela Bartok, Luigi Nono e Gyorgy Ligeti. La musica come ricerca.
Davide Ingrosso on The New Noise
[…] Va detto che la sensazione di vaghezza – un orbitare senza equilibrio attorno a un nucleo appena palpabile – è ben presente anche in Timewise. Si direbbe che nelle dodici tracce che lo compongono (da intendere come un continuum, trattandosi di un live) venga addirittura portata all’estremo. Nelle fasi iniziali dei 38 minuti del disco, registrato al MADXI di Latina nel gennaio 2019, pare quasi che il trio sia nel bel mezzo di una sessione di prove, o che stia accordando gli strumenti: presto osserviamo che si tratta di un dialogo molto ricco di accenti, pause e cambi di registro. La comunicazione fra i tre è genuina e bilanciata; per buona parte i suoni in arrivo dalle diverse fonti si sfiorano l’un l’altro, anche quando emergono parvenze di strutture formali. E infatti, apprendiamo dal comunicato, Zarkan nasce proprio dal desiderio di combinare composizione e improvvisazione, seguendo quelle tracce che nel corso del Novecento hanno portato i due mondi a toccarsi più volte e partendo dal rapporto che ambedue instaurano con la nozione di tempo. Dunque non sorprende che, a partire dal “Preludio”, quattro dei dodici brani presenti siano rispettivamente dei frammenti di Gérard Grisey (sua fu l’idea di applicare una divisione nel concetto di “tempo”, identificandone uno degli insetti, uno degli uomini e uno delle balene), di Béla Bartók (“Cyclic”), di Luigi Nono (“Pause & Silence”) e di György Ligeti (“Suspension”).
I restanti otto brani sono composizioni scritte da Di Benedetto, dove sempre è in gioco questo confronto a tre, questo dialogo in cui ognuno prende parola con moderazione, in punta di piedi, restando nella propria nicchia; come il Palomar di Calvino, quando “ha preso l’abitudine di mordersi la lingua tre volte prima di fare qualsiasi affermazione”. Forse è proprio il clima riflessivo, la pacatezza che sottende ogni intervento, ciò che fa di Timewise l’ambiente ideale per il carattere del contrabbasso di Simone Di Benedetto, che mi piace definire ponderato e intelligente. Ancora intento a scandagliare le profondità che del succitato Depth Sounding sono il background, questa volta il nostro fa da contraltare al clarinetto di Colonna, più estroverso e sempre molto raffinato. Nel mentre le percussioni di Liuzzo restano sullo sfondo, a impreziosire in modo misurato. Ad eccezione di un passaggio più intenso e fremebondo (non a caso posto, o meglio, occorso poco prima del finale), solitamente è una pensosità assorta quella che avvolge Timewise, stemperata nelle penombre che lo rendono un lavoro non molto accessibile, ma capace di dare diverse soddisfazioni a chi volesse porgere un ascolto profondo.
Due bei dischi (a me è piaciuto specialmente Timewise, l’avrete capito) che, tra le altre cose, stando a quanto mi è capitato di pensare ultimamente, solidificano la possibilità di un nuovo comparto di contrabbassisti italiani che, coincidenza (o forse no), sono uniti da almeno un paio di punti in comune: la giovane età ovviamente e, soprattutto, la fusione che ognuno di essi esercita tra compo-improvvisazione jazz e musica classica contemporanea. E allora magari partite da Simone Di Benedetto e poi ascoltate Andrea Grossi e Andrea Verniani, per citare due validi nomi che su queste pagine abbiamo già trattato. Di carne sul fuoco ce n’è.
Aberto Bazzurro on L’isola che non c’era
Sempre da casa Aut arriva Timewise del Simone Di Benedetto Zarkan, in qualche modo gemello del cd precedente, qui però col trentunenne bassista modenese a guidare un trio con le percussioni di Ivan Liuzzo (e ancora i clarinetti, stavolta nelle mani di Marco Colonna) in luogo del pianoforte (caso unico). Anche qui grande preziosità e misura, atmosfere più rarefatte a dispetto della presenza dell’elemento percussivo, peraltro presente a macchie e sempre estremamente calibrato.
Mario Biserni on Sands Zine
Ci sono molte affinità fra questi due CD, a partire dal blu che domina le confezioni, e alludo alla casualità che vede in azione due formazioni in trio similari, entrambe guidate da contrabbassisti e comprensive di un clarinettista, oltrechè a una scaletta dove accanto a brani originali si evidenziano alcuni riferimenti ad autori appartenenti alla tradizione classica (il nome di Ligeti è presente in entrambi i CD).
Numerose sono comunque anche le differenze fra i due progetti, e vanno al di là del diverso minutaggio dei due dischi. La più evidente riguarda il terzo uomo che in Small Choices è un pianista mentre in Zarkan è un percussionista, ed è curioso constatare che il disco con più ritmo, riconoscibile come tale, non è quello con la presenza del percussionista. Ivan Liuzzo utilizza infatti molto spesso il suo set di percussioni per creare sottofondi e stratificazioni di suoni lunghi mentre il suo contraltare Emanuele Maniscalco ha un approccio alla tastiera molto ritmato (può ricordare Paul Bley per la purezza del tocco e McCoy Tyner per il senso del ritmo).
Small Choices offre un repertorio molto vasto basato su composizioni originali di Papetti, improvvisazioni collettive, decostruzioni su brani di autori moderni (Copland, Ligeti e Shostakovich) e riprese di autori meno conosciuti: Alfredo Casella (1883-1947) e Guillaume de Machaut (1300-1377). Queste influenze neo-classiche vanno a miscelarsi con gli input derivanti dalla tradizione della musica afroamericana, in particolare seguendo quella linea che attraverso i grandi clarinettisti bianchi passa per Dolphy e approda alla New Yourk degli anni di fine millennio, marchiata dai colori del klezmer, delle musiche mediterranee ed est-europee. Grande attenzione è riservata alla melodia e al gioco dei fraseggi, è come se il trio narrasse delle storie.
Il coinvolgimento compositivo in “Timewise” è di tipo meno collettivo, l`unica firma è del leader Di Benedetto, e la citazione di autori classici è circoscritta a un ambito più contemporaneo (Ligeti, Grisey, Bartok e Nono). Mi sovvengono similitudini con la musica creativa degli anni Settanta, in particolare con i gruppi chicago-parigini guidati da Anthony Braxton. Il tutto si risolve in un gioco di pennellate e di incastri, nei quali l`armonia sembra non necessariamente condurre alla creazione di spunti melodici, è come se il trio dipingesse delle storie.
La differenza maggiore fra i due dischi è quindi riassumibile in una maggiore o minore astrazione ma, a questo punto, torno sulle prime battute per aggiungere quella che è la similitudine più evidente: in entrambi i casi si tratta di due lavori di altissimo livello.
Un bravi i tipi della Aut Records che hanno il coraggio di diffondere queste piccole gemme.